Arriva puntuale, a due anni di distanza da Posti in piedi in paradiso, il nuovo lungometraggio di Carlo Verdone prodotto da Filmauro. Nella seconda parte della sua carriera, il regista romano ha spesso privilegiato commedie maggiormente corali, non più incentrate sui suoi personaggi, ma studiate per un gioco di sponda - un "ping-pong" per usare le sue parole - con gli altri attori che lo hanno accompagnato in questo suo percorso. Anche un richiamo più forte alla stringente attualità è diventato un marchio di fabbrica delle commedie verdoniane, con la crisi economica (già centrale nel film precedente) a recitare un ruolo primario all’interno del plot. Sotto una buona stella si inserisce pienamente in questa sua nuova tendenza. Federico Picchioni (Carlo Verdone), separato con due figli, vive un momento d’oro sia dal punto di vista economico (la sua holding finanziaria va a gonfie vele) che personale grazie alla sua relazione con la più giovane Gemma (Eleonora Sergio). All’improvviso però si ritrova in cattive acque: la holding va a catafascio per per le manovre sottobanco di un impiegato e la morte della moglie lo porta a dover convivere nuovamente con i figli Lia (Tea Falco) e Niccolò (Lorenzo Richelmy), che non gli hanno mai perdonato la sua fuga dal matrimonio e sono persi in una disperata ricerca di opportunità e lavoro. Mentre Gemma lo lascia nella sua vita entra la nuova vicina di casa Luisa (Paola Cortellesi), single devastata dalle conseguenze di un lavoro che odia (fa la "tagliatrice di teste" per le aziende in crisi). Insieme risuciranno a risolvere i loro problemi. Verdone prova, come sempre, a scherzare sui problemi dell’Italia moderna: la crisi economica, l’impossibilità dei giovani di trovarsi un lavoro («l’80% degli amici dei miei figli sono andati all’estero e non torneranno probabilmente mai più», afferma in conferenza stampa), la loro fuga verso l’estero (la salvezza arriva dal nuovo fidanzato inglese di Tea, Richard, interpretato da Simon Blackhall) e la solitudine che ognuno di noi affronta faccia a faccia con i propri problemi, spargendo anche una spruzzata di multiculturalismo (la piccola figlia di Tea è di colore, lo scambio delle carrozzine al supermercato, la ragazza dai tratti orientali che recita la poesia in romanesco). La sceneggiatura però, firmata assieme a Pasquale Plastino, Gabriele Pignotta e Maruska Albertazzi, si fa prendere un po’ troppo la mano al punto da rendere eccessivamente buoniste e forzate alcune situazioni - dalla Cortellesi che cerca di ricollocare le persone che ha licenziato alla sfuriata di Verdone all’audizione del figlio - con il risultato di appesantire bruscamente il ritmo del film. Le situazioni divertenti però non mancano e i duetti con la Cortellesi, abile come sempre a prendersi la scena fino a diventare il vero baricentro del film, rendono giustizia alla bravura di entrambi gli attori e all’affiatamento che sono riusciti a raggiungere: sotto questo punto di vista Verdone rimane sempre e comunque una garanzia ed il suo marchio di fabbrica è assolutamente riconoscibile anche in quel retrogusto amaro, da commedia degli eterni sconfitti, che pervade la pellicola. Una summa di quello che ci si può attendere dal Verdone attuale e ci si chiede se non sia il caso di smuovere un po’ le cose tentando altre strade: si è molto parlato della possibilità di vederlo dirigere un film del quale il nostro non sia anche protagonista. Chissà se il prossimo passo non sarà proprio in questa direzione.