In un futuro indefinito, dopo che la Grande Pace ha posto fine alla guerra che ha distrutto gran parte delle città della Terra, Chicago è suddivisa in cinque caste: i Candidi legislatori, i Pacifici agricoltori, gli Eruditi della cultura, gli Abnegati al governo e gli Intrepidi guerrieri. Al compimento della maggiore età, come a ogni giovane, anche a Beatrice (Shailene Woodley) è chiesto di scegliere a quale fazione appartenere. Quando i test attitudinali ne rivelano però la natura “divergente”, inadatta cioè a tutte le categorie, preoccupata che la sua diversità possa mettere in allarme la già precaria società, la giovane si imporrà un duro addestramento fra gli Intrepidi, provando a celare il proprio segreto anche al suo fascinoso istruttore Quattro (Theo James). C’è molta fiction e poca science in Divergent, ultima pellicola di Neil Burger, regista dell’immaginario e del fantastico, già autore di The Illusionist e Limitless. Cavalcando il successo del romanzo fantasy per teenager - sull'onda delle fortunate saghe di Twilight e Hunger Games - Burger traspone sul grande schermo il best seller di Veronica Roth, popolare su carta e già immaginato per il cinema. Come accade per gran parte della narrativa del genere, anche la trama di Divergent poggia su un indefinito sostrato di temi e rievocazioni sci-fi cui si aggiungono topoi sempre popolari fra gli adolescenti, come il sentimento della diversità e dell’inadeguatezza. Ciò che sicuramente non manca mai è la storia d’amore fra i due teen-idols protagonisti. Ancora meno di quanto Twilight appartenga al genere horror-vampiresco e Hunger Games al fantasy tradizionale, Divergent può definirsi fantascienza. Non basta infatti uno scenario futuristico apocalittico per riempire il vuoto di contenuti che la trama di Veronica Roth offre al cinema: se infatti già la vicenda - un romanzo rosa mascherato da action - per quanto costruita con accuratezza scenografica e un impianto teorico di tutto punto, non mostri particolare acume, la sua trasposizione cinematografica è un prodotto fallace ed emulativo. Personaggi bidimensionali sono affidati senza troppa cura a un cast scialbo (con inspiegabili inserti come Kate Winslet e Ashley Judd) e l’intera trama appare una rievocazione di schemi e motivi dedotti dalle saghe sorelle: la solitudine della protagonista “diversa”, la storia d’amore fra l’eroina e il rude istruttore, la sfida e lo scenario bellico indefinito. Per quanto Divergent sia una di quelle pellicole innocue che non fanno altro che accontentare una definita cerchia di fan – ristretta sia in termini anagrafici, sia in materia di genere – è soprattutto la sua pretestuosa vocazione ad accentuarne i difetti e amplificarne la mediocrità. Superati i primi venti minuti che fanno da setting, l’ambientazione futuristica si rivela ben presto poco più di uno sfondo legato a scelte specificatamente costumistiche che – per quanto frutto del talento italiano di Carlo Poggioli – sono davvero troppo poco per ascrivere il film al genere.