Da bambini vi sarete probabilmente imbattuti nella diceria secondo cui non è saggio contrapporre due lastre di specchio, una di fronte all’altra. Leggenda vuole, infatti, che da questa disposizione possa emergere uno spirito oscuro, discendente di Satana. Da sempre la cinematografia si è scontrata con il potenziale horror di cui sembrano essere dotati gli specchi, come hanno fatto, ad esempio, autori come Lommel o Damiani. Alla seduzione della lastra che mostra e riflette non si è mostrato immune il regista Mike Flanagan che a otto anni di distanza dal cortometraggio Oculus: Chapter 3 – The man with the plan arriva al cinema con un lungometraggio horror che eredita dal corto la storia originale. Il giovane Tim Russell (Garrett Ryan) vienne accusato e ritenuto colpevole del brutale omicidio in cui sono rimasti uccisi i suoi genitori. La sentenza costringe il ragazzo a passare dieci anni in prigione. Quando finalmente viene rilasciato (nell'età adulta, Tim è interpretato da Brenton Thwaites) il suo unico desiderio sembra quello di lasciarsi la storia alle spalle e trovare un modo per andare avanti con la propria vita, senza che il trauma e l’accusa gli precludano anche solo una parvenza di normalità . Non è però dello stesso avviso sua sorella Kaylie (Karen Gillan); persuasa che suo fratello sia del tutto innocente, la ragazza comincia ad indagare su un vecchio specchio dall’aria gotica a cui sembrano essere legati numerosi fatti atroci che hanno qualcosa in comune con la morte dei genitori. Le indagini di Kaylie porteranno in superficie una terribile verità . Oculus potrebbe essere stato partorito da un certo modo di pensare l’horror risalente agli anni ’70, quando l’horror era soprattutto opera di suggestione, in cui il Male veniva camuffato nella penombra, e dove il gioco danzante delle ombre prendeva per mano le paure più inconsce degli spettatori. Mike Flanagan costruisce un film sull’attesa, con inquadrature lente, costruite quasi con meccanica precisione; il pubblico abbocca all’amo e si lascia guidare in un universo dai contorni labili, dove orrore e pazzia sembrano andare di pari passo, alla ricerca di una verità che non riesce mai ad essere univoca. Il regista, infatti, grazie anche ad un montaggio serrato che costituisce l’elemento tecnico di più alto livello, costruisce una diegesi quasi spaccata in due, con due strade che si intersecano e si intrecciano, confondendo i sensi e il facile giudizio. Oltre a questo, però – e forse è la cosa che interessa più chi paga il biglietto – Oculus fa davvero paura. Non mancano salti sulla sedie e immagini improvvise che fanno sussultare il cuore. Vi assicuriamo che prima che i titoli di coda siano finiti sullo schermo, starete già pensando ad un modo per coprire tutti gli specchi che avete in casa.