Noah (Russell Crowe), discendente della stirpe di Adamo, è il prescelto dal Creatore, il Dio dell’Antico Testamento. Dovrà costruire un’arca e imbarcarvi due esemplari di tutte le specie animali per metterli in salvo dall'arrivo di un diluvio che sommergerà tutte le terre emerse. Nel perseguire i dettami ricevuti attraverso alcune visioni, il patriarca dovrà affrontare il discendente della stirpe di Caino, Tubal-cain (Ray Winstone), e gestire forti conflitti all’interno della sua famiglia. Hollywood volge ancora una volta il suo sguardo verso il genere biblico. È un dato di fatto, l’industria cinematografica americana non ha dimenticato la preziosa lezione di Cecil B. De Mille, “la Bibbia è anche una meravigliosa sceneggiatura”. E così Darren Aronofky, il regista candidato all’Oscar per Il cigno nero e vincitore del Leone d’Oro a Venezia con The Wrestler, racconta il diluvio universale come la prima Apocalisse dell’umanità, potendo contare sulle capacità e sull’esperienza di Russell Crowe per il ruolo del protagonista. Pur prendendosi alcune libertà rispetto alle fonti, il regista newyorkese – ateo di origini ebraiche – dimostra un grande rispetto per una delle storie più conosciute di sempre, una vicenda sospesa in un’epoca mitica dove religione, magia e leggenda si fondono in maniera indissolubile. Non c’è tentativo di storicizzazione, non ci sono velleitarie ricerche di plausibilità: Noah è un film dai dichiarati intenti ammonitori, un’opera vegana e animalista, dove i malvagi sono inesorabilmente associati al consumo della carne. Aggiornato alla sensibilità cinematografica di oggi - perlomeno a quella hollywoodiana, che nei casi più fortunati prevede un sapiente connubio di effetti speciali e tensione drammatica - l’epopea biblica di Aronofsky arriva in Italia preceduta da molte polemiche: è stato bandito in alcuni paesi arabi, per il divieto islamico di rappresentare le figure dei profeti, ed è stato criticato da numerosi gruppi evangelisti americani, che hanno attaccato le licenze poetiche e fantasiose del regista (come l’introduzione del personaggio di Emma Watson, Ila, che non esiste nella Bibbia). Dopo gli ultimi successi di critica e pubblico, Aronofsky firma un film certo non indimenticabile, lontano dagli apici raggiunti da questo genere negli anni ’50 con I dieci comandamenti e Ben-hur, ma notevole per l’enorme quantità di simbolismi messi in scena (in particolare la dantesca rappresentazione di Dio attraverso i cerchi concentrici) e soprattutto per la chiarezza con cui esprime l’idea del suo autore: creazionismo ed evoluzionismo sono la stessa cosa, il primo giorno della creazione, descritto nella Genesi, non è altro che il Big Bang del modello cosmologico.