A distanza di due settimane dalla prima parte, esce nelle sale il secondo volume di Nymphomaniac che riconduce immediatamente lo spettatore in medias res, nella stanza di Seligman (Stellan Skarsgard) ad ascoltare la storia di Joe (Charlotte Gainsbourg). Dopo aver costruito il solido impianto filosofico del film, qui la vena dissacrante, misantropa e incendiaria di Lars Von Trier prende decisamente il sopravvento. Negli ultimi tre capitoli il regista analizza l’ultima frontiera della ninfomania di Joe che si fa infliggere punizioni fisiche da K (Jamie Bell), il tentativo di superare la sua dipendenza tramite un gruppo di ascolto e il gran finale in cui diventa il braccio armato di un’attività malavitosa gestita da L (Willem Defoe) prendendo sotto la sua ala protettrice la giovane P (Mia Goth). Von Trier non abbandona il suo intento pedagogico (la dicotomia Chiesa d’Occidente/Chiesa d’Oriente a ricalcare quella tra dolore e piacere), ma si concentra maggiormente sulla sua personale riflessione sulla natura e il destino dell’uomo, senza tralasciare alcun dettaglio. Il regista danese non conosce sfumature né eufemismi, la sua misantropia si riflette alla perfezione sullo schermo sia nella crudezza delle immagini (le frustate di K a Joe), sia dei pensieri su un’umanità guidata essenzialmente dall’egoismo (la totale mancanza di riconoscenza di P) e dalle pulsioni sessuali (il finale - nemmeno troppo - a sorpresa). L’ironia accompagna lo spettatore per tutto il film e fa spesso capolino in maniera irresistibile (l’incontro con i due immigrati africani) e roboante (l’anatra silenziosa), ma la visione fosca di Von Trier rende questa seconda parte decisamente più difficile da assimilare rispetto alla prima, e qua e là si nota facilmente più di un appesantimento via via che il sesso lascia campo e spazio al destino personale dei protagonisti. Farà discutere l’appassionata tirata in favore di una pedofilia “platonica”, sempre inserita nell’ambito di una pulsione sessuale che guida le azioni dell’uomo - la cui unica scelta consiste nel come e dove incanalare questa pulsione - e il finale in bilico tra l’inevitabile, l’assurdo e il comico. Su tutto si staglia Charlotte Gainsbourg, eroina quasi titanica nell’affrontare, da sola, una dipendenza che gli altri non possono comprendere appieno (Seligman), vogliono reprimere (il gruppo di ascolto) o approfittarne.