Nel 2004, i telegiornali italiani cominciarono a parlare delle "bestie di Satana", una realtà criminale sconvolgente, che entrò di fatto al primo posto dei crimini più agghiaccianti della penisola. Il fatto di cronaca nera, diviso tra droghe e note heavy metal, è diventato quasi un indesiderato bagaglio culturale; dunque non è difficile intuire perché si possa essere tramutato in materiale di partenza per un prodotto cinematografico. Due poliziotti si imbattono in due ragazzi visibilmente sconvolti, sotto l’effetto di alcol e droghe. Ben presto, però, gli agenti capiranno di aver fermato dei possibili serial killer. La trama tuttavia, facilmente intuibile se si conosce la storia vera a cui fa riferimento, è solo uno degli elementi minori di questa operazione coraggiosa che si permette anche incursioni nel mondo dell’onirico, e sequenze che, se registicamente presentano qualche sbavatura, risultano comunque interessanti. Pensato inizialmente come sceneggiato televisivo, In Nomine Satan ha poi cambiato la sua rotta finendo nelle mani del regista debuttante Emanuele Cerman, che lungi dall’accontentarsi di raccontare i fatti conosciuti attraverso i media e i reportage (le interviste a Chi l’ha visto? o i racconti delle indagini che per mesi hanno affollato i telegiornali), si focalizza attorno ad una riflessione personale sull’ambivalenza del bene e del male, in una società dove l’orrore può nascondersi nella persona che ci dorme accanto o nell’amico che abbiamo sempre amato. Una riflessione, a ben vedere, che non ha nulla di innovativo, ma che anzi si inserisce in una ponderata e secolare speculazione sull’orrore. Inserita però in un contesto come quello attinente alle "bestie di satana", questa approfondimento ontologico assume nuovi significati, perché l’orrore massimo viene perpetuato da volti comuni e insospettabili, ed è in questo che si inserisce un altro livello di orrore, una sorta di sulfureo gorgo infinito. Tuttavia, se In Nomine Satan può risultare pieno di spunti interessanti, in generale, però, sembra mancare nella pellicola un filo conduttore, a causa di una commistione di generi piuttosto insicura e caotica. Horror, thriller e dramma vengono trattati insieme, però senza quell’anello di congiunzione che avrebbe potuto (e dovuto) agevolare lo scorrimento del film. Resta però molto apprezzabile il coraggio di esordire alla regia con una storia che susciterà , sicuramente, una curiosità morbosa.