Eli Roth l'ha definito un "holy grail movie", intelligente, originale e divertente. Ma il regista di Hostel è stato uno dei pochi ad apprezzare La stirpe del male, pellicola bistrattata sia dalla critica che dal pubblico. La pellicola, esordio nel lungometraggio di Allison Miller e Zach Gilford (già conosciuti per aver lavorato ad un episodio del progetto collettivo V/H/S), segue la sempre prolifica, ma ormai stanca, moda del point of view shot - conosciuta anche come POV shot - sdoganata a fine anni '90 da The Blair Witch Project, costruendo una trama che prende a piene mani da un classico dell'horror quale Rosemary's Baby di Roman Polanski. Nei panni della sfortunata coppia di protagonisti troviamo Alison Miller (17 Again) e Zach Gilford (The last stand - L'ultima sfida). I due attori interpretano Samantha e Zach, una giovane coppia di sposi prossima alle nozze. Dopo il matrimonio, i novelli moglie e marito decidono di partire in viaggio di nozze per la Costa Rica. L'ultima notte della loro vacanza vengono condotti da un simpatico taxista in un bar dei bassifondi, dove si ubriacano fino a perdere conoscenza. Poco dopo il rientro a casa, Samantha scopre di essere rimasta incinta, scatenando la felicità di amici e parenti. Ma dopo qualche tempo la donna comincia a soffrire di gravi disturbi, mentre delle misteriose figure osservano di notte la loro abitazione. Quando Sam comincia a stare sempre più male e cominciano ad accadere fatti inspiegabili, Zach decide di indagare e scopre che le cause del mistero sono da ricercare in quell'ultima notte trascorsa in Costa Rica. La fiera delle banalità horror declinate in chiave POV: La stirpe del male è un film nato vecchio in cui tutto appare prevedibile sin dai primi istanti, incapace perciò di suscitare qualsiasi emozione tipica del genere e lasciando la tensione in sottofondo, esplosiva soltanto in alcuni brevi passaggi nella quale fanno capolino dei discreti effetti speciali (il budget è di 7 milioni di dollari, non poco per un titolo di questo tipo). Ma a cominciare dalla sceneggiatura che più che omaggiare parodia infelicemente la fonte d'ispirazione, la produzione è ricca di nonsense già nello stile registico, laddove l'uso della camera a mano non è quasi mai giustificato e alcune inquadrature appaiono semplicemente inspiegabili. La recitazione, tralasciando la scialba prova del protagonista maschile, trova un suo punto di forza nella convincente intepretazione di Alison Miller, che ha poco da invidiare alle classiche scream queen, e alcune delle sequenze che la vedono protagonista hanno un impatto da non sottovalutare. Una pellicola senza anima e con un'improbabilità di fondo che trasformano un progetto dalle interessanti potenzialità in un'opera fotocopia. Sembra non sia rimasto molto da aggiungere ad un genere che, salvo rare sorprese, ha ormai esaurito le sue cartucce.