Camilla (Geppi Cucciari), dopo il matrimonio, lascia la natia Sardegna e il lavoro in radio per trasferirsi a Milano con il novello sposo, Simone (Paolo Kessisoglu). Ma nella nuova città , in una vita vuota e insoddisfacente, Camilla è disoccupata, spaesata e depressa e finisce per sfogare le proprie frustrazioni sul marito che in breve tempo matura l’idea di separarsi. Incapace di chiederle il divorzio, Simone elabora così un piano: ingaggia il Falco (Luca Bizzarri), un noto playboy, affinché questi seduca sua moglie e la conduca al tradimento, così da avere un pretesto per lasciarla. A chi ancora si domanda come faccia la commedia italiana, attualmente così povera di idee e di autori, a partorire ogni due o tre mesi un film destinato al favore del pubblico, occorre fare notare come di fatto, sebbene cambino i nomi e varino (leggermente) le trame, la formula vincente sia sempre la stessa: da una parte c’è un produttore volitivo e forte sul mercato, dall’altra un regista plasmabile con buone ambizioni, in mezzo un cast di stelle della televisione, provenienti dal cabaret e dall’intrattenimento. Un fidanzato per mia moglie non solo presenta tutte queste caratteristiche, ma costituisce un perfetto esempio di consumismo cinematografico: un film gettato in pasto al pubblico affinchè lo divori in un’ora e mezza e lo dimentichi in molto meno. È di Beppe Caschetto, produttore alle spalle di casi cinematografici come Paz e Scialla!, l’idea di recuperare il film del regista argentino Juan Taratuto Un novio para mi mujer del 2008 e farne un remake da affidare a Davide Marengo - un debutto (Notturno Bus) e una geniale serie televisiva di successo (Boris) che facevano sperare in qualcosa di più. Seppure affiancato invece da due veterani della scrittura cinematografica, Francesco Piccolo e Dino Gentili, il team messo in piedi dà vita ad una commedia estremamente televisiva, con tempi da sit-com e romanticismo da soap-opera, interamente poggiata sulle spalle del trio Cucciari/Bizzarri/Kessisoglu. Per quanto i tre protagonisti facciano del proprio meglio per sostenere la pellicola di Marengo con un buon affiatamento e qualche battuta divertente, la banalità dei contenuti e dei dialoghi sono tali che persino l’umorismo british solitamente irresistibile di comprimari come Ale & Franz si perda nella ripetitività di una serie di riflessioni già sentite sull’amore e in stereotipi sulla diversità sentimentale di uomini e donne. Inoltre se da un lato Luca e Paolo sembrano avere esaurito tanto in tv quanto al cinema la loro verve, per l’intera durata del film ci si domanda cosa abbia spinto la produzione ad affidare il ruolo di protagonista a Geppi Cucciari, tutt’altro che dotata di un temperamento da mattatrice: mediamente attrice, mediamente graziosa, mediamente simpatica e soprattutto così limitata nelle proprie caratteristiche che l’intera trama sembra essere stata scritta in funzione del suo forte accento sardo e del suo – ben noto, già visto - temperamento burbero.