Lupo (Giorgio Pasotti) è un pittore senza più ispirazione, incapace di impegnarsi nella vita come con le donne, sulle quali però esercita un discreto fascino che lo porta ad innamorarsi di tutte e ad avere costantemente intorno a sé uno stuolo di amiche in crisi e di possibili flirt. Tra una storia con la vicina di casa e un ménage intrattenuto su internet, Lupo entrerà davvero in crisi quando si innamorerà di una giovane suora. Michele Picchi proviene dalla critica cinematografica e ha alle spalle anni di onorata carriera come assistente alla regia, sotto l’egida di Ettore Scola e lo sguardo più mansueto - ma altrettanto vigile - di Giovanni Veronesi. Conosce il cinema e i suoi motivi e conosce lo stile pacato, elegante e ironico che la contemporanea commedia sentimentale italiana rimpiange ai suoi modelli. Per questo, Diario di un maniaco per bene, pur non essendo un film indimenticabile, è una pellicola di rara delicatezza e di piacevole profondità, “indipendente” nel senso migliore del termine: quello che punta ad essere popolare senza scadere nel pop, che prova a parlare di sentimenti senza degradare nel melenso. Riprendendo un tema caro al cinema d’autore - l’artista in crisi creativa - Picchi circonda il protagonista – imbambolato, ma molto empatico – interpretato da Giorgio Pasotti di una rosa di donne che lo attorniano con i loro problemi, il fascino, la seduzione e la tentazione, in una riflessione che parte dalle dinamiche uomo-donna ma approda ad un più complesso racconto della sensibilità maschile. Come da tradizione cinematografica, il ritratto della crisi di un uomo è raccontata da Picchi attraverso le sue donne, che diventano volti e corpi delle sue ossessioni mantenendo però una leggerezza estremamente cara soprattutto al pubblico. La provenienza e la profonda conoscenza cinefila del regista, prima come spettatore poi come critico infine come autore, è testimoniata dalla cura che egli ripone nella sua opera, una pellicola che nonostante le pretese circoscritte manifesta un grande rispetto per lo spettatore non solo nella trama intelligente e nella scelta di un cast aggraziato, ma anche negli aspetti stilistici, dalla musica alle scenografie, dalle inquadrature fino alla fotografia – bellissima - di Duccio Cimatti.