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Welcome to New York

26/05/2014 11:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Welcome to New York

Devereaux (Gérard Depardieu) è il potente direttore del Fondo Monetario Internazionale...

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Devereaux (Gérard Depardieu) è il potente direttore del Fondo Monetario Internazionale. Proprio mentre sta per annunciare la propria candidatura alle elezioni presidenziali francesi, una cameriera d’hotel lo accusa di averla violentata dopo una folle notte newyorkese. Il politico verrà così trascinato in una controversia giudiziaria che ne sconvolgerà la carriera così come la vita privata e il rapporto con l’ambiziosa moglie Simone (Jacqueline Bisset).


Nella sfilata di anime nere che costituisce la filmografia di Abel Ferrara, il protagonista di Welcome to New York si colloca in una posizione tanto scomoda quanto rilevante, prima ancora che per la sua (sopravvalutata) ispirazione cronachistica, per l’approccio sfrontato con cui la presenza scenica dell’imprescindibile Gérard Depardieu affronta ogni inquadratura: in intimi primi piani o con movimenti di macchina insolenti, a sfidare il pubblico in uno scontro che ha il sapore di un attacco verbale o solo di un lungo sguardo scambiato con lo spettatore. Le polemiche che hanno accusato il regista di machismo appaiono insensate laddove il film di Ferrara sottopone allo stesso modo a uomini e donne il giudizio spettatoriale in merito alla questione del potere, inteso qui anche come sottomissione sessuale. Se la lungimirante stampa statunitense ha colto nel personaggio di Jacqueline Bisset una contemporanea Lady MacBeth, è perché ha rilevato nell’intreccio una divagazione sulle aberrazioni cui porta un privilegio, soprattutto se indotto e parzialmente inconsapevole.


Che Welcome to New York si ispiri alle vicende giudiziarie legate a Dominique Strauss-Kahn, ex capo del Fondo monetario internazionale, non è mai stata una novità. Ma rinnegando la cronaca per una libertà finzionistica legittimamente rivendicabile, il regista prende le distanze dal gossip in favore di una storia che esaspera gli aspetti più scandalosi e al tempo stesso ne accentua il lato intimistico, sottoponendo il protagonista – attraverso una minuziosa suddivisione della trama in tre capitoli - ad un screening fisico e psicologico. Intorno all’imponente presenza di Depardieu, il film prende forma: impossibile è infatti immaginare la pellicola di Abel Ferrara priva dell’interpretazione del mattatore francese che, con il suo corpo importante e il suo sguardo sfrontato, dà vita ad un personaggio grottesco, ricercatamente volgare e definitivamente affascinante, i cui vizi si impongono sullo schermo in parallelo alle paure e ai lati oscuri. È infatti la fisicità del protagonista, alla cui figura rappresentativa vestita in abiti scuri ed eleganti viene opposto l’io privato ostinatamente seminudo e lascivo, a fare da guida delle tre parti del film in un climax di intensità che dalla disamina della perversione sessuale affronta la caduta politica e infine il dramma familiare. Qui, grazie anche al duetto di Depardieu con Jacqueline Bisset, il personaggio di Devereaux emerge da figura satirica al limite del ridicolo e, proprio nei dialoghi con la Lady sua moglie, assume un valore sempre più simbolico.


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