Aydin (Haluk Bilginer) è un ex attore che vive nel suo albergo nel cuore dell'Anatolia con la giovane moglie Nihal (Melisa Sözen) e la sorella Necla (Demet Akbag). Perennemente diviso fra i doveri - non sempre limpidi - di proprietario terriero e le velleità artistiche, Aydin dovrà affrontare i diversi aspetti della propria personalità e il rapporto con le donne della sua famiglia, nel teatro di personaggi che passano dal suo hotel in mezzo alle rocce. Finalmente Palma d’Oro a Cannes dopo due Grand Prix e un Premio della Regia, Nuri Bilge Ceylan approda al film della sua maturità con Winter Sleep, un colossale affresco di staticità emotiva e fissità cinematografica ambientato fra le nevi della Cappadocia. Interrompendo il vagare dei suoi personaggi in città svuotate e ambienti claustrofobici, il regista turco dirige un percorso di scoperta che è stavolta solo interiore; un disvelamento filmico lungo tre ore e un quarto nel quale il protagonista Aydin - asserragliato nel fiero isolamento a cui ricchezza, cultura e integrità intellettuale lo hanno condotto - potrà specchiarsi solo con la propria coscienza. Così come Uzak e C’era una volta in Anatolia erano il dramma degli sguardi, Winter Sleep sostituisce al moto convulso degli intrecci la placidità di un teatro su schermo intensamente recitato. Con gli occhi sempre fissi sull’amato Chechov e una magnificenza shakespeariana. Si avverte infatti la cupa eco del Riccardo III, con la sua rigida dissertazione morale sul tema del doppio e sulla malvagità. Da questa ispirazione i coniugi Ceylan ricavano una sceneggiatura rigorosa - forse un po’ impostata - che si interroga sui ruoli sociali ed etici, imposti specialmente a chi si elegge intellettuale. Nei molti assalti verbali e nelle tante confessioni a cui il protagonista è soggetto, l’attenzione del regista turco va ancora all’analisi dei rapporti umani. Centrale stavolta è soprattutto la relazione fra uomo e donna (qualcuno ha parlato di uno Scene da un matrimonio turco), intrisa di una dialettica indolente e acuminata che indaga il tema della lotta fra il potente che protegge e il debole incapace di fuggire. Ricco, come spesso succede a teatro, di scene madri (su cui troneggia la cupa, rivelatoria conversazione di Aydin con sua sorella), Winter Sleep fa di questo distacco scenico il grande punto di svolta rispetto al precedente cinema di Ceylan. Pur mantenendo negli interni la luce tiepida della fotografia di Gökhan Tiryaki, l’ultima pellicola del regista turco si caratterizza per un’inedita freddezza: inquadrature indolenti sulle steppe anatoliche incorniciano una storia, priva di compassione, in cui i personaggi dannati superano di gran lunga quelli salvati. Rispetto al passato, in cui la parola cedeva il passo all'immagine rivelatrice, per la prima volta il paesaggio di Winter Sleep si limita a un poetico ruolo di corrispettivo oggettivo: freddo è il cuore del suo protagonista, innevata appare l’Anatolia; fragile è il rapporto fra Aydin e sua moglie, tremula sarà la luce di candela che illumina la loro stanza. Non c’è dubbio che l’ultima fatica di Nuri Bilge Ceylan richieda allo spettatore impegno e dedizione, non solo per la sua dissuasiva monumentalità ma anche in virtù del sacrificato incanto, del maggiore realismo e di una più domestica ambientazione. Se ricompensato, però, dopo il favore di Cannes anche dall’attenzione del pubblico, Winter Sleep si rivelerà - ai livelli di profondità che il discorso del suo regista arriva a toccare - un film dal fascino magnetico.