Fabien Constant dirige il ritratto umano e artistico di Carine Roitfeld, modella, stilista e, per dieci anni dal 2001 al 2011, caporedattrice di Vogue Paris. Il gusto, la vita privata e la costruzione di un mito intorno a una delle più amate fashion icon contemporanee. Da produttore a regista di una serie di film per la tv a tema fashion – dal ritratto di Marc Jacob al racconto degli eventi autunnali di Vogue - Fabien Constant si fa narratore di una delle figure più note della moda francese dell’ultimo decennio: Carine Roitfeld, musa poi collaboratrice di stilisti come Versace, Tom Ford, Karl Lagerfeld ed editor in chief di Vogue Paris per dieci anni in cui la leggendaria rivista francese ha dettato lo stile attraverso il gusto ribelle, un po’ punk, della sua caporedattrice. In molti modi un documentario può essere poco riuscito: può rivelarsi noioso, poco accurato, tendenzioso o inefficace. Può infine semplicemente suscitare l’indifferenza dello spettatore, per tutta la sua durata sinceramente impegnato a domandarsi lo scopo di un approfondimento del tutto privo di interesse se non per gli artefici. Il ritratto della “Regina di Vogue” rientra senz’altro in questa categoria. Se fra le opere settoriali, solitamente i docu-film sportivi sono quelli che hanno il pregio di appassionare di più i non addetti ai lavori, i malriusciti biopic a tema fashion vantano esattamente la caratteristica opposta: superficiale, vanesio, patinato ma soprattutto privo di una storia che realmente valga la pena essere raccontata, Mademoiselle C è un’opera della moda rivolta esclusivamente alla moda stessa. Non è difficile comprendere come, dopo il taglio brusco operato da Vogue Paris nei confronti della propria storica caporedattrice (per ragioni peraltro connesse a polemiche non solo di forma, ma anche ideologiche), Mademoiselle C sia un’operazione legata a intenti più riabilitatori che celebrativi. Il film di Constant - nella sua struttura “intervista-sfilata-shooting” ripetitivamente proposta per più di novanta minuti - non solo però è privo di qualsiasi originalità formale, ma manca anche nei contenuti di cogliere nel segno. Sottratto di ogni precisione come dell’entusiasmo creativo che la vulgata attribuisce alla sua protagonista, a parte la sfilza di vip che testimoniano la “grandezza artistica” di Carine Roitfeld, si può dire che a Constant non sia riuscita neanche l’operazione idolatrica. Se si tralasciano infatti le pretestuose celebrazioni ora dell’umiltà ora della potente visionarietà di Mademoiselle C, non c’è nulla nel film a lei dedicato che realmente ne approfondisca il presunto genio artistico, che ne esamini il rapporto creativo con i fotografi ad esempio, che – libero dal buonismo, dal glamour, dal popolarismo spiccio – risponda alla domanda se davvero Carine Roitfeld è un personaggio che ha scritto la storia della moda oppure no. A poter essere messa in dubbio nel documentario di Fabien Constant è non solo una qualsiasi utilità cinematografica, ma la sua stessa giustificazione ontologica e qualsiasi altro scopo artistico per cui novanta minuti di celebrazione di una starlette della moda possano essere di qualche interesse spettatoriale anche al di fuori dei più in voga eventi fashion.