Quando si parla di cinema italiano è impossibile non citare i mostri sacri del passato, Fellini, Scola, Monicelli, Risi; nomi divenuti manifesti di correnti culturali conosciute in tutto il mondo, come ad esempio il neorealismo o la commedia all’italiana. Tuttavia esiste un altro sottogenere cinematografico, fatto e pensato esclusivamente per la vox populi e che in ambiente soprattutto d’accento romano erano conosciuti come i musicarelli. Si trattava di film che avevano la caratteristica di poggiarsi quasi esclusivamente sulle spalle di cantanti in voga, sfruttandone la discografia e costruendogli intorno una storia leggera, quasi sempre indirizzata ai giovani. Gli eroi di questa corrente furono Claudio Villa, così come Nino d’Angelo, fino ad arrivare a Gianni Morandi. Questo piccolo compendio della storia del cinema si mostra più che mai adatto per presentare La pioggia che non cade, esordio alla regia per Marco Calvise. "Gli Inverso" sono un gruppo pop-folk romano, abituato ad esibirsi nei locali della capitale con la speranza di riuscire a trasmettere il loro amore per la musica agli spettatori. Proprio durante uno di questi concerti, il gruppo viene adocchiato da un produttore, Luca, che è pronto a renderli delle vere e proprie star del circuito musicale nazionale. Per Carlo, Vincenzo, Mauro, Simone e Anna sembra il raggiungimento di un sogno, ma la strada da percorrere è lastricata di prove ed ostacoli da superare. Gli Inverso sono un gruppo realmente esistente e la loro appartenenza al campo musicale piuttosto che a quello cinematografico si evince dopo pochissimi minuti di visione de La pioggia che non cade. L’interesse che le loro sonorità potrebbero risvegliare in uno spettatore non avvezzo alle loro melodie viene fatalmente messo a tacere da una recitazione ingenua, fin troppo innaturale, che viene lasciata a briglia sciolta senza una guida salda che possa indicare a giovani esordienti la strada da percorrere. Calvise pare dirigere senza convinzione, con la mano leggera di chi non è sicuro di quello che fa. Una sensazione, questa, che il pubblico sembra avvertire. Il risultato è un film che non emoziona e non coinvolge, che a tratti annoia per rovinose cadute di ritmo, che non ha neanche il beneficio di una sceneggiatura solida e ben studiata a cui aggrapparsi. Buchi di trama e banalità vanno di pari passo, tenuti insieme dalle note del gruppo; operazione, questa, che fa pensare a quanto avevano già fatto Max Pezzali e gli 883 nel film del 1998 Jolly Blu. L’esordio alla regia per Calvise è un film di cui si può apprezzare la tendenza a proporre qualcosa di nuovo nel panorama cinematografico italiano, ma che mostra molte lacune di aspetto tecnico-narrativo.