Paride (Paride Benassai) è l’impiegato di un ufficio in cui sono archiviate le vite di tutti gli essere umani e nel quale si decide l’ora esatta della morte di ognuno. Quando Nicola (Salvo Piparo), giovane senzatetto senza prospettive, decide di suicidarsi, Paride e i suoi colleghi sono pronti ad accoglierlo. Un imprevisto però manda a monte i propositi del giovane, lo conduce a un nuovo inizio e sconvolge così anche la routine nell’aldilà di Paride. Riflettendo ambiziosamente sull’aldilà e sui temi del libero arbitrio e dei confini dell’esistenza umana, Giuseppe Gigliorosso dirige un film dalle ambizioni wendersiane che sostituisce il cielo sopra Berlino con quello palermitano, cercando nel budget ridotto - e in una storia produttiva a dir poco avventurosa - il suo punto di forza. Non mancano infatti nel cinema precedenti di film a mezzi limitati che pure hanno in corso di realizzazione trovato il proprio equilibrio: Ore diciotto in punto ha dalla sua un cast di attori provenienti dal teatro di strada, le scenografie - naturalmente incantevoli e surreali dell’improvvisato set “di strada” del capoluogo siciliano – adagiate su una bellissima colonna sonora (griffata di archi e voci celestiali) e un soggetto brillante. Peccato però che la sceneggiatura di Gigliorosso – forse inconsapevole, in fase di stesura, dei mezzi limitati che il film avrebbe dovuto affrontare – appaia come un’impresa decisamente impegnativa per una pellicola da dirigere in tempi di austerity, con il risultato di apparire tanto spartana quanto abbozzata. Per quanto la vicenda dell’esercito di burocrati che sorveglia e assiste il trapasso di ogni essere umano con precisione da orologeria sia un’idea affascinante, l’effetto da recita amatoriale è inevitabile non solo per la quasi assoluta assenza di fotografia e di scenografie in interni ma anche di una scrittura studiata e di una accurata direzione degli attori: ciò che prevale nel film infatti sono le singolarità interpretative debitrici della derivazione teatrale, in netto distacco sul resto del cast, problematico anche negli aspetti più semplici come la dizione. Ciò che immediatamente salta all’occhio, a grande discapito di un film che con più tempo e cura poteva spiccare il volo, è proprio la limitata possibilità di raggiungere un risultato ad alti livelli cinematografici. Girato grossolanamente, sostenuto da una fotografia ancora piuttosto grezza, animato da uno script brillante ma dotato di più di un’ingenuità strutturale (se dell’aldilà si parla, che almeno i dialoghi siano sorretti da un qualche genere di poetica in tema di morte e destino), Ore diciotto in punto è un’opera prima coraggiosa e originale, vittima dell’indifferenza delle produzioni italiane e da questa sicuramente penalizzata.