La macchina da presa spia, da lontano, una coppia che, in aperta campagna, si abbraccia e si stringe, dando prova del rapporto sentimentale che li lega. Intanto una porta comincia a sbattere ripetutamente, finché non si ferma, sospesa nell'aria, come se una mano invisibile la stesse trattenendo per permettere a qualcosa o qualcuno di entrare. Questo è l'incipit di Surrounded, l'opera prima dei registi Federico Patrizi e Laura Girolami che racconta le ventiquattro ore di una donna sulla scia di film thriller-horror come The Strangers o Them. Maryann (Tatiana Luter) è incinta di poche settimane. Suo marito Carl (Daniel Baldock) è piuttosto apprensivo nei suoi riguardi, specie perchè è la prima volta che Maryann riesce a portare avanti una gravidanza. Nonostante le sue preoccupazioni, però, Carl, che è un avvocato, è costretto a partire per un viaggio d'affari e a lasciare Maryann da sola, per un giorno, nella loro casa di campagna, immersa nel nulla. Quella che si annunciava come una giornata di relax e riposo rischia subito di tramutarsi in un incubo, quando strane presenze cominciano a palesarsi intorno alla donna. Concentrandosi sulla struttura di una narrazione a metà strada tra thriller ed horror, i due registi esordienti confezionano un film che nelle intenzioni funziona, purtroppo, molto meglio che nella realizzazione. L'idea di fondo, seppur poco originale, è una di quelle che sono sempre capaci di mettere ansia allo spettatore, costringendolo a fare i conti con le paure adamatiche, come quella di essere attaccati nel luogo che pensiamo essere il più sicuro. Sporcare la sensazione di familiarità di un luogo, demonizzando la casa e rendendola un inferno in terra è una scelta che, il più delle volte, si mostra vincente nel costruire un ponte comunicativo con lo spettatore. Surrounded cerca di giocare proprio con questa sensazione, ma il risultato viene danneggiato da una diegesi che - specie nella prima parte - si mostra troppo rallentata e dilatata. I lunghi primi piani della protagonista, così come i dialoghi che rasentano il grottesco. Non aiuta nemmeno un doppiaggio quasi dilettantesco, che non riesce ad aderire al labiale straniero dei personaggi, distraendo così lo spettatore incapace di far coincidere suono e immagini. A parte questo, però, va riconosciuto ai registi la capacità di creare alcune scene, specie verso il - seppur affrettato - finale di buon impatto. La casa con le ampie vetrate in cui la protagonista si muove e che, quando cala il sole, si imbeve di oscurità diventa il terreno fertile per le apparizioni degli sconosciuti che si stagliano contro la notte, con maschere bianche a celarne i lineamenti.