
In una casa buia, piena di souvenir usciti dalle ultime pellicole di genere horror, un ragazzino si appresta a passare una serata in completa solitudine, visto che madre e sorellina sono dirette ad una rappresentazione teatrale da Shakespeare. Così, dopo aver ascoltato gli ennesimi consigli del genitore e aver incassato gli insulti della sorella minore che lo rimprovera di rifuggire una cultura degna di questo nome, il bambino inserisce nel videoregistratore una vhs che porta il titolo di Paranormal Stories. Questo è il prologo metafilmico dell’omonima pellicola prodotta da Gabriele Albanesi, che vede sei giovani registi italiani cimentarsi con la classica ghost-story, recuperando struttura e ambientazione del creepshow, quei racconti della cripta che, nello svolgimento di diversi episodi, cercavano di suscitare tensione e spavento nello spettatore. Usando come cornice contenitiva proprio la storia del ragazzino che guarda un film dell’orrore, la pellicola cerca sin dal primo istante di creare un ponte comunicativo con il pubblico, spingendolo a riconoscersi in quel bambino assetato di brividi. Questo è anche l’intento dei sei registi coraggiosi, che si cimentano in un genere ormai quasi del tutto sepolto nel panorama produttivo del nostro paese. Paranormal Stories si compone di cinque storie che, almeno su carta, promettono brividi a non finire. Uno scrittore assassino, anime di defunti che tornano a tormentare medium ciarlatane, fantasmi che seguono i propri aguzzini e, persino, un defunto tornato dall’aldilà per parlare in chat con un amico che, solo in un secondo momento, scopre che il ragazzo con cui sta parlando è morto suicida il giorno prima. Pur non sfruttando nessuna novità narrativa, né una costruzione diegetica fuori dal comune, i racconti alla base di Paranormal Stories rispondono a canoni ormai tradizionali volti a risvegliare le paure adamitiche dell’essere umano. Dallo stravolgimento del confine tra vita e morte, fino alla persecuzione di spiriti maligni, la pellicola risponde ai cliché del genere e, in alcuni momenti, anche con una buonissima realizzazione tecnica – si pensi, soprattutto, all’ultimo episodio, dal titolo Urla in collina, tecnicamente il più riuscito. A mancare quasi del tutto, però, è una buona prova istrionica. La recitazione degli attori è davvero il punto debole dell’intera operazione. Gli interpreti, quasi tutti piuttosto giovani, offrono allo spettatore prove molto spesso impostate e artificiose, non riescendo mai a scivolare sul serio nell’anima dei personaggi; lo spettatore, in questo modo, è costretto ad assistere ad uno spettacolo in cui tutto quello che si mette in mostra è un gruppo di attori che cerca di dar prova di sé, senza riuscirvi fino in fondo. Viene così a mancare del tutto non solo qualsiasi tipo di empatia, ma anche quella sospensione di realtà che è fondamentale nel cinema in generale e nell’horror in particolare. Non essendo in grado di suscitare alcun sentimento di tensione o paura, Paranormal Stories si rivela un prodotto fallimentare, perché incapace di raggiungere l’obiettivo principale: generare spavento.