Presentato nella sezione Orizzonti dell'edizione 2014 del 71° Festival del Cinema di Venezia, La Vita Oscena di Renato De Maria fatica a convincere. Il film, tratto dal romanzo autobiografico di Aldo Nove, è una sorta di video-racconto psichedelico della vita del protagonista che, rimasto orfano, inizia un viaggio allucinogeno nel vano tentativo di distruggere lentamente la propria vita. Andrea (Clément Metayer) è un promettente giovane poeta legato alla madre hippy (Isabella Ferrari) da un rapporto viscerale. Quando quest'ultima muore di cancro - preceduta poco prima dal padre - Andrea resta orfano e solo, in preda agli agguati dei suoi pensieri più neri che, morso a morso, gli rubano il sonno, il futuro e la voglia di vivere. L’impianto filmico è costruito attraverso una serie di scelte visive che vorrebbero riprodurre il flusso di coscienza dei pensieri del protagonista. Immagini, miste a una colonna sonora rock e ipnotica, attraverso le quali il regista cerca di rappresentare il dramma interiore di Andrea. Ma questa sperimentazione, tra soluzioni visionarie, versi strazianti e voce narrante, finisce per essere grottesca e priva di spessore. Il film di De Maria, prodotto da Riccardo Scamarcio, appare sospeso e privo di senso come le azioni sconclusionate del suo protagonista, che vaga come uno spettro per la città tra vizi, esperimenti erotici e abuso di droghe. In questo disperato tentativo di porre fine alla sua vita il personaggio di Andrea si carica di elementi forzati e poco credibili che, tra i fantasmi e l’approssimativo tentativo di descrivere il mondo allucinato dalla droga, finiscono per soffocare il film. I comprimari, poco caratterizzati se non addirittura esageratamente sopra le righe, appaiono banali e inconcludenti. Tra immagini deliranti e traballanti, De Maria rappresenta la biografia di Antonio Centanin, in arte Aldo Nove, come una spasmodica fuga da e verso il dolore, finendo tuttavia per divagare e perdersi.