Bello, bellissimo. Il panorama che si stende alla visione dell’ultimo lavoro di Andrej Končalovskij, che finalmente ritorna alla regia raccontando esistenze rurali e anacronistiche con un taglio documentaristico e ovattato. Presentato in concorso a Venezia71, The Postman’s White Nights, parla di uno strambo postino di un piccolo villaggio russo e della sua attività di recapitare lettere a surreali abitanti del posto. Questo non luogo - dimenticato, lontano, che stride così tanto con qualsivoglia forma di modernità - è collocato attorno a un lago, che è quasi co-protagonista del film. Per quanto la macchina da presa del regista indugi, cogliendone ogni movimento naturale, è proprio per questa collocazione geografica che il microcosmo in cui si muovono i personaggi è una realtà autarchica e isolata. Il postino è un eroe un po’vintage, che si occupa di portare i giornali, la corrispondenza, la pensione, generi di varia natura alle famiglie del posto. È lui il vero trait d’union tra il villaggio e la civiltà. Non c’è nulla di troppo in questo film, neppure la trama. L’intento registico è quello di seguire passo a passo il bussare del postino e riprendere i pochi dialoghi intrattenuti con qualche pescatore o con una donna (sua ex compagna di scuola) e il suo bambino. Gli elementi reali, provenienti dal passato, si fondono con quelli mistici, come il presunto spirito dell'acqua e la misteriosa comparsa di un gatto Blu, durante le insonni sue notti bianche. La volontà registica appare quella di attingere a una dimensione dimenticata, spolverarla - per quanto si riesca - e regalarla allo spettatore senza nostalgia, malinconia o voglia di denuncia. Persino quando la sua ex compagna di scuola (di cui è goffamente innamorato) lascerà il villaggio, quel che resta è solo un posto un po’ più solo che invecchia in una decorosa solitudine. L’autenticità tipica di una realtà che appare così distante e che mano a mano viene assorbita dalle zone limitrofe cittadine - più attraenti - viene solo documentata e ha un peso anche minoritario nel bilanciamento filmico della trama. The Postman’s White Nights è un'opera senza troppe pretese. In questo sta il suo successo. Prosciugata di ogni sovrastruttura stilistica o prosaica e condensata nelle performance attoriali, riesce a donare una visione per nulla banale. Nel panorama cinematografico non mancano certo opere simili, ma la forza di un lavoro che non vuole concedersi licenze emotive aiuta lo spettatore a concentrarsi sulla vista, affidandosi totalmente a questo senso e a godere di un racconto dove la componente iconica è maggiore di ogni altra. Osservare, immergersi per un po’ e poi andare via, lasciare quel posto in pace. Magari a cavallo del razzo che si scaglia in cielo proprio in una scena finale del film. Procedendo per sottrazione, il regista porta a Venezia un lavoro da guardare: una realtà in miniatura da custodire, come una cosa preziosa, in una teca.