Sean (Ryan Guzman) continua a inseguire la sua passione per la danza anche a Los Angeles. Tra provini deludenti, audizioni andate male e la concorrenza sempre più serrata, il ballerino e la sua crew rischiano di dover abbandonare il sogno e lasciare delusi la California. Prima di arrendersi, però, Sean decide di tentare il tutto per tutto e, con gli amici di sempre, si iscrive a VorteX, un talent show che mette in palio un lavoro a Las Vegas. I ballerini dovranno così scegliere se continuare a praticare la loro arte o scegliere la via più sicura. Anno nuovo, Step Up nuovo. Sempre più simile a un telefilm che a una saga cinematografica, il nuovo episodio della serie ha pretese di attualità . Dopo i sogni, le gare e le rivalità , i Mobs di Sean devono confrontarsi con la scelta decisiva per ogni artista: coltivare con difficoltà e sacrificio la danza, con le sue annesse precarietà economiche, o gettarsi sul commerciale, accettando incarichi meno brillanti ma retribuiti. Passati otto anni dal primo film che lanciò Channing Tatum verso lidi più promettenti, le produzioni hanno ben ragione di credere che gli affezionati spettatori, all’epoca teen, siano oggi cresciuti e si trovino di fronte agli stessi problemi esistenziali dei protagonisti del film. Niente paura: in Step Up All In non c’è rischio di alcuna velleità sociologica, il quinto film della serie presenta solo il prevedibile sviluppo narrativo e cronologico di una storia che cambia - in parte - gli interpreti ma resta sempre uguale nella struttura. Le sfide fra crew, l’incontro fra stili e personalità , la storia d’amore, la performance finale: lievemente cresciute le tematiche ma perfettamente identiche le fasi del racconto e i tipi caratteriali. Un novità è costituita, nella trama, dalla critica al talent show, dipinto come male per eccellenza della danza e forza economica che manipola l’arte. Peccato che in questo quinto moralizzatissimo Step Up ci sia anche una new entry proveniente da Amici di Maria De Filippi. Nonostante le pretese di cambiamento, Step Up All In è solo il più recente prodotto di una serie di film simili, tutti girati con inconfondibile stile videoclip da una serie di registi che in effetti provengono non tanto dal cinema quanto dalla musica, dalla danza, dall’intrattenimento. La direzione di Trish Sie risulta in quest’ultimo film tanto gradevole nelle sequenze di danza, quanto priva di creatività nel raccontare una storia già sentita. Oltre a non presentare nessuno scarto rispetto ai film precedenti (fra i quali, ancora una volta, va notato un certo distacco tra l’accettabile prodotto teen che era il primo film del 2006 e i suoi successivi, solo coreografici, sequel) Step Up All In mescola intrattenimento e danza fino a rendere quest’ultima comprimaria del contesto televisivo e commerciale, svuotandola quindi ancora di più del suo valore artistico e umano.