I destini di due donne si intrecciano nella lotta contro il cancro al seno. Annie Parker (Samantha Morton), uragano di energia e vitalità , ha visto morire di tumore sua madre e poi ammalarsi sua sorella. Quando anche ad Annie viene diagnosticato lo stesso male, la donna deve condurre, insieme alla battaglia della cura, quella per il riconoscimento medico dell'ereditarietà del cancro. Intanto, la ricercatrice Marie-Claire King (Helen Hunt), che studia la malattia da quando è giovane, porta avanti - in tenacia e solitudine - i propri avanguardistici studi sulla trasmissione genetica. Il legame tra il gene BRCA1 e il cancro al seno è alla base di un'ormai lunga, talvolta difficoltosa e dispendiosa ricerca medica, diventata per milioni di donne - e per i loro familiari - una speranza che riguarda la vita stessa e un avvenire in cui non debba esistere più una malattia che, oltre a essere profondamente lesiva della psiche, sia anche incurabile. Deconding Annie Parker di Steven Bernstein - ex direttore della fotografia, a lungo colloboratore di Noah Baumbach - porta sullo schermo l'esperienza drammatica del tumore alla mammella che, sempre di più, ha il volto di un cancro che si può sconfiggere. Il film è la storia di due donne: la coraggiosa Annie, per tre volte vincente sulla malattia, e l'intrepida Marie-Claire, genetista che studia ostinatamente i collegamenti tra alcuni tipi di cancro al seno. L'intuizione di raccontare attraverso due esperienze parallele una storia emotivamente pesante e realistica - come sempre sono le vicende che trattano il tema della malattia - è il colpo vincente di Steven Bernstein, insieme alla scelta delle due protagoniste. Il duetto Morton/Hunt, infatti, non solo funziona ma ha carica tale da mettere in secondo piano qualsiasi altro comprimario, anche l'interpretazione maschile dell'ormai celeberrimo Aaron Paul, volto notissimo di Breaking Bad. Pur navigandoci rischiosamente attorno, il regista sfugge le soluzioni più lacrimose e per una volta, anche al cinema, il cancro non è solo il male distruttivo a cui il pubblico non sarà mai abbastanza abituato ma diventa l'occasione per un racconto di speranza e tenacia femminile. Un'iniezione di ottimismo nei confronti della scienza intelligente e una spolverata di insegnamento morale rivolto a tutte coloro che sono passate o passano dall'esperienza di Annie. Purtroppo a Steven Bernstein ancora manca, sia nella direzione sia nella scrittura, un equilibrio che sappia valorizzare sullo schermo una storia, specie se importante come quella di Annie Parker. Il film non riesce a compensare come dovrebbe i momenti brillanti con il drammatico e soprattutto con gli ampi inserti di documentarismo medico, utile all'erudizione ma piuttosto ostico al ritmo del film. La struttura da docufilm - sebbene camuffata da melò - è evidente nell'aspetto tecnico del film, che rivela il carattere indipendente della produzione. La difficoltà di una trama su due filoni (le impegnative storie delle protagoniste) non è svolta da Bernstein con il rigore e la coerenza necessaria e diventa, attraverso tempi e toni troppo differenti, una traccia difficile da seguire con costanza. Se infatti la storia di Annie è un pink drama a tutti gli effetti, il racconto di Marie-Claire si caratterizza per l'eccessivo zelo nella profusione di dettagli medici. Nonostante l'opera cinematografica di Bernstein sia ancora decisamente migliorabile, il film è un'operazione - se non artisticamente riuscita del tutto - almeno umanamente lodevole: una storia produttiva che il regista ha saldamente condotto per cinque anni, anche attraverso un ingente finanziamento personale. Un impegno che coinvolge anche la distribuzione del film, il cui incasso al botteghino sarà in parte devoluto alla ricerca sul tumore al seno.