All'interno di un palazzo si dipana la commedia degli equivoci di Alessandro Genovesi. Un uomo, apparentemente fedifrago, nasconde la sua amante sotto al letto al suono del campanello; una starlet ninfomane è attratta dalla divisa; due fratelli tonti spiano gli altri appartamenti; una misteriosa straniera arriva all'improvviso dal niente. Sarà un colpo di pistola a sfatare, uno per uno, i luoghi comuni. Classe 1973. Troppo giovane per accettare il riferimento a una certa classica scuola di cinematografia. Così si presenta Alessandro Genovesi e a lui va il difficile compito di aprire il Festival del Cinema di Roma 2014 con il suo terzo lavoro, Soap Opera, che segue La peggior settimana della mia vita e Il peggior Natale della mia vita ma anche - occorre ricordarlo – la sceneggiatura/adattamento della pièce Happy Family, regia di Gabriele Salvatores. La citazione scelta non è un caso. Il film è una commedia italiana dallo stile ricercato, rivolto più alla vista che agli altri sensi e, per questo, un prodotto senza dubbio diverso dalle classiche opere di genere alle quali si è abituati. L'intento del regista è quello di voler sfondare una parete, sia anche solo quella del palazzo protagonista del film: situato in un luogo senza tempo e senza precisa collocazione geografica, abitato da bizzarri inquilini. All'interno di questo palazzo trova confortante riferimento una certa commedia degli equivoci che si mostra in tutti i suoi clichè. Ma ecco l'aspetto originale di un rassicurante impianto filmico: il regista, dopo essere sceso in campo con tutti - ma proprio tutti - i luoghi comuni, decide in un colpo (di pistola) di provare a scardinarli tutti, uno a uno. Così il traditore tradito forse non lo è e anche l'attricetta di soap del piano di sopra non appare più per quella che sembra. Dal colpo di pistola in poi, con la morte di un misterioso inquilino del palazzo, inizia per il pubblico una fase narrativa più interessante. Tuttavia, il “di più” di Soap Opera si esaurisce in uno studio attento alla fotografia, alla scenografia, alla colonna sonora e agli abiti di scena, deliziosi protagonisti di una grammatica narrativa che enfatizza e valorizza la componente fiabesca della trama. Genovesi, con un ricco cast di attori amati dal pubblico italiano, si allontanata dalla ricerca della risata a tutti i costi provando a proporre una nuova via: quella di un cinema che mescola generi diversi, che strizza l'occhio alle atmosfere oniriche teatrali, non senza riferimenti alla Wes Anderson nella ricerca delle cromie e delle simmetrie. Partendo dalla “soap”, attraverso il melò, la commedia romantica diventa favola: queste sono le piste narrative scelte da Genovesi per far parlare personaggi moderni in un certo tempo vintage, in un passato immaginato in cui si trovano riferimenti visivi a Pinocchio e ad Alice, alla neve - co protagonista del film - che rimanda a una certa idea di purezza tipica del modo “educato” del regista di portare la comicità in sala. Purtroppo, però, non c’è altro: come se il film fosse traboccante di aspetti metalinguistici, visivi, sonori e non riuscisse a trovare sostegno in una trama di giusto spessore. L'esperimento, apparentemente interessante, riesce solo a metà. Pur funzionando, il cast viene sopraffatto dalla natura di un prodotto ambizioso, senza volerlo essere, che però finisce per soffocare le performance dei protagonisti.