Lorenzo (Giorgio Pasotti), sub professionista, lavora su una piattaforma in mezzo all’Adriatico. La sua vita, al di fuori del lavoro, non conosce stabilità sentimentale: è libero, senza figli e le sue relazioni con le donne non hanno mai la durata sperata. Tutto questo fino a quando il migliore amico Roberto (Fabio Troiano) lo porta in un locale. Lì, per scommessa, una ragazza lo bacia. I due rimangono folgorati, si vedono e si innamorano. C’è però un problema fondamentale agli occhi di Lorenzo: Claudia (Donatella Finocchiaro) ha un figlio, Matteo (Niccolò Calvagna), che fatica ad accettare la presenza di quest’uomo nella vita della madre. Lorenzo cercherà di sopportare l’ostilità del bambino ma ben presto il rapporto tra i tre finirà per cambiarne ulteriormente le vite. Il 2014, per Giulio Base, è un anno d’oro. Dopo Il Pretore - forte della presenza di Francesco Pannofino - il regista torinese sceglie di girare una commedia sentimentale, tragica e comica al contempo, che riflette sul ruolo genitoriale in senso esteso e moderno. Oltre agli intermezzi più leggeri, generati dalle interpretazioni di Fabio Troiano e del - definitivamente ritrovato al cinema italiano - Ninetto Davoli, il cast beneficia delle presenza protagoniste di Giorgio Pasotti (tornato al cinema dopo l’esperienza non esaltante di Nottetempo di Francesco Prisco) e Donatella Finocchiaro, insieme alla deliziosa prova di Niccolò Calvagna, sei anni e ben sei film alle spalle. Mio papà riesce, con notevole semplicità , a toccare le corde della sensibilità del pubblico. A favorire Base è di certo il nucleo centrale della trama, ma imprimere emozioni allo spettatore cinematografico non è mai facile e merita un plauso particolare. Nonostante la pellicola riservi poche sorprese e il tono generale, piuttosto prevedibile, si allunghi in diverse banalità (un esempio: il tipico bacio sotto la pioggia), il film offre una storia coerente e non mediocre, dolorosa e intensa. Pasotti, pur interpretando per l’ennesima volta l’uomo solitario ma coraggioso, risulta efficace al fianco dell’interpretazione intima della Finocchiaro. Di positivo occorre osservare soprattutto come Giulio Base – che nella sua carriera ha più che altro diretto fiction – stia effettuando un percorso personale di crescita, alle prese con il grande schermo. Il suo è uno stile ancora piuttosto semplice, televisivo per temi e accorgimenti, ma colmo di picchi stilistici (uno su tutti, la bella inquadratura finale) e un naturale talento per la delicatezza. Il suo più recente film, presentato al Festival del Cinema di Roma 2014, è un prodotto che, nonostante alcune imperfezioni, non lascia insoddisfatti.