Nick (Josh Hutcherson) e il fratello Dylan (Brady Corbet) scelgono di lasciare il Canada per provare ad aprire un’attività sulla costa colombiana. Il salto è grande e nel caso del Sudamerica l’apparenza inganna. Dietro il paradiso, si celano infatti corruzione e malavita, ma soprattutto un ampio commercio di cocaina. Nick, nel giro di pochissimo tempo, conosce Maria (Claudia Traisac) e se ne innamora, ignorando però che dietro l’innocenza di quella giovane si nasconde il mondo della droga. Lo zio, infatti, è Pablo Escobar (Benicio Del Toro) e ben presto Nick si troverà a doverlo servire come fosse uno dei suoi scagnozzi. Da lì in poi Nick, per amore di Maria, dovrà correre rischi impensabili, ritrovandosi a lottare fino all’ultimo minuto per sopravvivere. Con Escobar: Paradise Lost, Andrea Di Stefano - già assiduo frequentatore di Hollywood, attraverso le sue partecipazioni da attore in pellicole come Vita di Pi e Nine - sceglie di ripercorrere la vita di Pablo Escobar, il narcotrafficante più ricco di sempre, vissuto in Colombia fino al 1993, anno della sua morte. A interpretare il boss è Benicio Del Toro, ma protagonista indiscusso del film è Josh Hutcherson, eroe coraggioso e romantico sospeso tra dovere, sentimento, etica e il proprio spirito avventuroso. Escobar: Paradise Lost può senza dubbio considerarsi un thriller riuscito, dall'effetto sorpresa assicurato. Dalle prime battute il tono suggerito dal regista sembra cordiale, a tratti comico (il plauso va a Benicio Del Toro), tuttavia una svolta nella trama rende la progressione più dinamica, diretta, efficace. La suspense, la scelta costante tra la vita e la morte, la caccia e la fuga diventano improvvisamente i valori cardine di un film che si fa, allora, molto più interessante e pragmatico. Il cast è d'eccezione. Oltre a Del Toro - perfettamente calato, non solo fisicamente, nei panni del boss risoluto, cinico e spietato - una nota di merito va anche a Josh Hutcherson (eroe di Hunger Games), che riesce ad affrontare alla perfezione un ruolo rischioso ma affascinante. Peccato per la fotografia non eccezionale di Luis David Sansans e la regia incerta: Andrea Di Stefano prova a giocare su salti temporali paralleli ma vi riesce solo in parte. Poiché la scelta narrativa è interamente volta sulla figura del protagonista Nick, alcune riprese e diversi particolari - anche biografici o storici - inerenti a Escobar vengono volutamente accantonati in sceneggiatura. La colonna sonora di Max Richter, infine, contribuisce egregiamente alla buona riuscita del finale, tragico ed emozionante, che si imprime con facilità nella mente dello spettatore. Un'imperfetta, avvincente opera prima.