Tako è un bambino di colore che è stato adottato da due madri lesbiche. A scuola, per via della sua educazione e del suo modo di fare diversi rispetto ai suoi coetanei di origini africane, viene preso in giro e chiamato col soprannome "di scherno" Bounty. Tako spera di scoprire chi sia il suo padre biologico, arrivando a sospettare che questi potrebbe essere il popolare rapper tedesco Dirty Man, in tour nella sua città nei prossimi giorni. Proprio per questo cerca l'aiuto dei bulli della scuola per trasformarsi in un vero "black man". Il significato europeo di Bounty, oltre a indicare una barretta di cioccolato ripiena di cocco, può riferirsi a persone di colore che si comportano in modo "bianco". Proprio su queste basi si fonda il terzo cortometraggio del regista olandese Finbarr Wilbrink, ventitré minuti nei quali l'autore cerca di trattare temi sempre attuali (il razzismo, i diritti delle coppie omossessuali) scadendo però troppo facilmente in retoriche di sorta. L'idea di partenza - ispirata da vicissitudini che segnarono l'infanzia dello stesso Wilbrink - dà il via a un'operazione ideologicamente lodevole ma diretta con uno stile ancora acerbo anche se non così scontato, che affonda troppo nei buoni sentimenti e che, tolto qualche breve passaggio ironico (soprattutto nella trasformazione in rapper del giovane protagonista), si trascina stancamente sino al proverbiale happy ending. Non funziona troppo neanche il gioco di sfruttamento degli stereotipi tipici della cultura afroamericana, qui esasperati - seppur in versione comica - così come l'appena accennato approfondimento sulla relazione tra le due madri di Tako, un semplice corollario narrativo che non cambia praticamente nulla nelle carte in tavola del racconto. Le interpretazioni, senza infamia e senza lode, rispecchiano pienamente la qualità complessiva dell'operazione che sembra puntare più sull'importanza del messaggio che su un reale risultato filmico.