Dopo essere stata abbandonata dal marito, scappato in Germania Ovest senza lasciare traccia, Christiane (Katrin Saß) trova la fede. L'oggetto del suo culto non è però di natura religiosa, ma politica: tutto il suo fervore e le sue energie sono infatti impiegate per la celebrazione e il miglioramento della Repubblica Democratica Tedesca. Quando però la donna si sveglia, dopo otto mesi di coma, dovrebbe fare i conti con la distruzione del suo mondo, crollato mattone dopo mattone assieme al muro di Berlino. In quel critico 1989 in cui la diplomazia internazionale metteva la parola fine a una fondamentale esperienza politica, i figli di Christiane si rendono conto presto che lo shock per l'epocale cambiamento potrebbe provocare un nuovo episodio di crisi nella loro madre. L'unica soluzione sembra essere quella di ricostruire in tutto e per tutto la DDR nella stanza della donna e tenerla lontana, almeno per un po', dal caotico universo di matrice capitalistico che ha sconvolto Berlino Est. Paradossalmente questa commedia di Wolfgang Becker - nel 2003 straordinario successo di botteghino sia in Germania sia all'estero - non è un film necessariamente politico. Non in senso stretto comunque. Good Bye Lenin dovrebbe piuttosto essere visto come un tentativo di raccontare gli svariati modi in cui la politica modifica stili di vita e le abitudini dei cittadini, soprattutto se ci si riferisce agli usi della Repubblica Democratica Tedesca. Solo da questa prospettiva d'interpretazione è possibile cogliere l'originalità della pellicola e dei meccanismi che muovono i personaggi. Alex, figlio di Christiane, si trova a fare i conti con le piccole e grandi difficoltà che si presentano nell'organizzare uno strampalato gioco delle parti che coinvolge ogni singolo aspetto della vita: a lungo andare sarà proprio lui a comprendere, più di tutti, il significato ideologico di un barattolo di sottaceti o di un vestito e reinventarlo secondo il suo personale punto di vista. Il percorso di crescita del personaggio è affidato al giovane Daniel Brühl ed è anche alla sua bravura che si deve il successo internazionale del film, un'inconscia ricerca di un rifugio rassicurante nel quale dare nuovamente corpo al fantasma di un ideale. Questo strano incantesimo sembra coinvolgere anche il regista, attento a creare uno spazio cinematografico che ricostruisca la rigorosa estetica di Berlino Est con i toni della commedia e della fiaba moderna. Il tutto, ovviamente, senza rinunciare alla profondità che contraddistingue il cinema d'autore. In questo gioco di magiche alchimie assume dunque senso la presenza di un'attrice della ex DDR come Katrin Saß, che dialoga con la rincorsa alla citazione colta che spazia da Fellini a Kieślowski. Una pellicola consigliatissima, che parla della fine della Guerra Fredda attraverso il ricordo di chi c'era e sognava un mondo diverso da raccontare ai posteri.