Durante un esperimento, lo scienziato Bruce Banner (Eric Bana) viene colpito da raggi che per altri sarebbero stati micidiali. La sua reazione, invece, è quanto mai inaspettata: l'esposizione scatena in lui geni modificati, presenti inconsapevolmente nel corpo del giovane a causa di un test effettuato in passato dal padre scienziato su sè stesso. Il risultato è che Bruce si trasforma in un mostro verde, incredibilmente forte e resistente a ogni attacco dall’esterno. Da quel momento, è costretto a scappare dall’esercito che lo insegue per studiarlo e utilizzarlo come arma. Allo stesso tempo, anche il padre, creduto morto, torna a farsi vivo nella speranza di ottenere dal figlio i risultati dell'esperiemento che aveva provato su di sé. Dalla parte di Bruce rimane solo l’ex fidanzata Betty (Jennifer Connelly), ricercatrice e figlia del generale che dà la caccia al mostro verde.
Come già Tim Burton con la sua versione di Batman, anche Ang Lee ha voluto misurarsi con il mondo dei supereroi attraverso il gigante verde della Marvel: Hulk. Quello scelto dal regista de La tigre e il dragone non è certo un personaggio facile: la trasformazione che subisce non lo rende più affascinante ma, al contrario, un essere sgradevole e difficile da gestire. Il sentimento che lo muove non è quello della giustizia, ma della rabbia. Ang Lee prova a dare una visione inedita e malinconica a un personaggio conosciuto attraverso il fumetto da cui è tratto e per una serie televisiva della fine anni Settanta, L’incredibile Hulk, in parte omaggiata dal cameo di Lou Ferrigno. Il regista sceglie di richiamare i grandi "mostri" dell’immaginario collettivo, da King Kong a Dr. Jeckyll/Mr. Hyde sino a Frankenstein, per dare vita a un essere guidato dai sentimenti, siano essi la rabbia che scatena la trasformazione o l'amore che lo riporta alla normalità .
La trama del film è piuttosto complessa e tarda a decollare verso la seconda parte, quella più action. L'Hulk di Ang Lee è una pellicola eccessivamente celebrale, in cui si fa fatica ad affezionarsi ai personaggi: accanto alla pur sempre brava Jennifer Connelly e al ruolo - di edipica memoria - del padre Nick Nolte, è il protagonista Eric Bana a non convincere a pieno. Ciò che restano impresse, ancora una volta firma indelebile del regista, sono soprattutto le scelte estetiche di Ang Lee. Fin dai titoli di testa gioca con i colori, declinando il film con un uso preponderante del verde mentre Danny Elfman regala delle musiche che esaltano e ben commentano la trama, ispirandosi alle atmosfere di Herrmann per la suspance di Alfred Hitchcock. Tuttavia, elemento di originalità è soprattutto la scelta visiva di rendere il legame con il fumetto attraverso l’uso dello split screen. L’impressione è quella di sfogliare un fumetto animato, cui manca solo il dialogo scritto nei baloon.