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American Sniper

06/01/2015 11:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

American Sniper

Clint Eastwood dirige la storia del cowboy che diventò il più letale cecchino americano

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Il texano Chris Kyle (Bradley Cooper) abbandona il rodeo e la caccia per arruolarsi nei Navy Seal al servizio degli Stati Uniti. Sin da bambino ha un talento per il tiro e una mira formidabile così, dopo aver superato il duro addestramento dei corpi speciali, Chris diventa cecchino. Dal 2003 viene inviato in Iraq dove in sei anni, quattro turni e mille giorni al fronte - di cui sua moglie Taya (Sienna Miller) e i suoi figli patiscono ogni istante - diventa “La Leggenda”: il più micidiale cecchino della storia militare americana. Ma proprio mentre la guerra impazza, i fantasmi dei compagni morti e i traumi delle battaglie più feroci iniziano ad affollare la mente di Chris disturbandola al punto da renderlo sempre meno invincibile.


La storia cinematografica hollywoodiana segue il passo delle guerre statunitensi: i due conflitti mondiali, il ferocissimo Vietnam, il Golfo e - da qualche anno - l’Afghanistan e l’Iraq. Quest’ultimo - dopo Redacted, Nella Valle di Elah e The Hurt Locker - è diventato la nuova condizione tragica americana, il luogo il cui uomini più o meno consapevoli vengono gettati a combattere contro un nemico non sempre visibile e identificato. Clint Eastwood, dopo aver tinto di sentimentalismo punti di vista opposti e complementari della Seconda Guerra Mondiale, non rinuncia a firmare la vera storia di Chris “La Leggenda” Kyle con una retorica così pesante e rumorosa che neanche lo strepitare dei fucili riesce a coprire.


Che piaccia o no l’esaltazione del valore militarista, American Sniper poteva essere davvero un film epico. Una storia ilidiaca che racconta una guerra lunga e dolorosa, combattuta sul campo come nell’anima del protagonista. Tratto dall’autobiografia di Chris Kyle, Eastwood racconta l’eroe americano dell’ultimo decennio: centosessanta vittime accertate nei ben quattro turni affrontati in Iraq; un soldato che - nonostante una famiglia ad attenderlo a casa - ha servito l’esercito in molti modi, fino al triste epilogo. Capitato quasi per caso dinnanzi alla sceneggiatura di Jason Hall, Clint Eastwood si è sentito - dopo il gran rifiuto di Steven Spielberg - il regista giusto a dirigere la storia del cowboy che diventò il più letale cecchino americano.


Dall’ “addestramento” familiare - tra le metafore del padre al sistema di valori texano - per tutta un’intera vita di rinunce, pericoli e abnegazione, la Gloria è per Chris Kyle quasi un incidente. Eppure è stata proprio la sua tragica fine a convincere Eastwood, più appassionato alla guerra interiore che a quella sui campi. Il tormento dell’eroe, il suo impossibile nostos, la tragedia che tuona dentro di lui: American Sniper nascondeva ambizioni che andavano oltre all’ennesimo racconto bellico ambientato in Iraq, ma che la scadente sceneggiatura consente a malapena di scorgere. Già a partire dall’incipit, con le sue discutibili scelte temporali, il film non funziona e si arena nel suo corso in banalità di ogni sorta - dalle motivazioni che spingono Chris a entrare nei letali Seals al conflitto con la moglie (una piagnucolosa Sienna Miller) - fino a perdersi del tutto nel dramma psicologico. Nonostante le sequenze belliche siano piuttosto ben fatte, la guerra irachena - che dovrebbe essere soggetto e oggetto del dramma - diventa in realtà un racconto unidirezionale di pochissima profondità, che non si interroga minimamente sul Bene e sul Male (come da ripetuta formula del film). Il protagonista, un eroe in cui lo spettatore - nonostante le sue incongruenze e colpe - crede e di cui fino in fondo attende pazientemente la redenzione, è un personaggio la cui caratterizzazione lascia molto a desiderare. Il soldato ritratto in American Sniper, sia esso protagonista o comprimario, è un uomo semplice e incapace di affrontare i propri demoni. In un sistema di valori da “Bibbia e Fucile” uomini paranoici e incapaci di ammettere le proprie responsabilità a un medico come alla propria moglie, sono consapevoli del pericolo che corrono in battaglia ma non di quello - ben più letale - che li attende al ritorno a casa, quando fanno i conti con il rumore della propria mente e dei propri pensieri ricoperti di orrore e morte. Forse American Sniper (soprattutto per la distribuzione statunitense) era davvero un soggetto che meritava la luce del cinema ma - nonostante la pretestuosità delle sequenze finali, tratte dai veri funerali del Cecchino D’America - nel film di Clint Eastwood, a parte la prova di Bradley Cooper, c’è ben poco da omaggiare.


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