Cinque ragazzi, i Cavalieri di Bronzo, cresciuti e addestrati per proteggere l’incarnazione della dea Athena, la fragile Lady Isabel di Thule. Accusata dal Grande Sacerdote di non essere la vera Athena, la ragazza viene presa di mira dai temibili Cavalieri d’Oro, guerrieri dai poteri sovrumani protetti dalle armature delle 12 costellazioni dello zodiaco. Quando si decide di rimettere mano a un’opera, a tanti anni di distanza dalla sua pubblicazione originale, il rischio del disastro è sempre dietro l’angolo. L’idea di riproporre in chiave moderna le gesta dei Cavalieri dello Zodiaco, passione sfrenata di moltissimi adolescenti degli anni ’80 e ’90, suonava male fin dall’inizio, a maggior ragione se l’animazione tradizionale veniva sostituita da una banale computer grafica di scarsa qualità. Nonostante la presenza di Masami Kurumada nel ruolo di Produttore Esecutivo, I Cavalieri dello Zodiaco – La Leggenda del Grande Tempio il non riesce a recuperare nessuno degli elementi cardine del manga e dell’anime originali, finendo col raccontare in maniera confusa e impacciata, frammenti della prima serie animata, quella relativa alla battaglia del Grande Tempio.Il film diretto da Keiichi Sato è una sorta di bignami mal riuscito della serie originale: si concentra prevalentemente sulla battaglia delle Dodici Case (non più rovine dell’antica Grecia, ma palazzi fluttuanti in un’anonima città), stravolgendo in poco più di un giro di orologio i bei ricordi di due generazioni di appassionati. Gli argomenti sono troppi per essere inseriti tutti in un film di appena un’ora e mezza, così nulla viene approfondito a dovere e ogni singolo personaggio appare come nell’ombra di ciò che era in origine. La nuova caratterizzazione dei cavalieri ha portato a risultati spesso grotteschi, come dimostra la variante geek del grande Mur dell’Ariete, l’inedita versione femminile di Milo dello scorpione e - soprattutto - l’indecorosa trasformazione di Death Mask, il cavaliere del Cancro, ridotto a un folle incrocio tra Jack Sparrow de I Pirati dei Caraibi e un comico-ballerino di bassa lega.La realizzazione tecnica è scadente, con una computer grafica che a tratti ricorda le presentazioni dei videogiochi Bandai Namco dell’era PlayStation 2, un uso eccessivo (e spesso ingiustificato) dello slow motion, tagli fatti con l’accetta e - spesso e volentieri - bizzarri buchi nella sceneggiatura nati dal tentativo di conciliare la trama originale con le nuove soluzioni scelte per il film. Tra improbabili combattimenti aerei che riportano alla mente i dogfight di Macross, siparietti comici mal riusciti, umiliazioni di personaggi carismatici (come Phoenix) e mostri giganti che sembrano usciti da un’opera scartata di Go Nagai, tutti gli elementi che anni fa contribuirono a decretare il successo di Saint Seiya, sono stati spazzati via. Perfino voci e versione italiana si sono rivelati al di sotto delle aspettative. La presenza di Ivo De Palma all’adattamento dei dialoghi e alla direzione del doppiaggio sarebbe dovuta essere una garanzia, dal momento che per anni (e perfino in questa occasione) ha prestato la propria voce a Pegasus, ma la realtà dei fatti è molto diversa. Il doppiaggio fatica ad adattarsi alla nuova visione dei personaggi, salvo in alcuni momenti in cui si intravede qualche bagliore della gloria passata. Sentire Pegasus dare del “tardone” al cavaliere del Toro, nel 2015, non può che stonare all’orecchio degli spettatori. Ma questo film non è stato pensato per i vecchi appassionati, ma nasce palesemente con il medesimo intento che portò alla luce il manga originale: la vendita dei giocattoli. Sotto questo punto di vista la pellicola svolge un lavoro egregio, presentando armature nuove di zecca, elaborate e dotate di elmi trasformabili che farebbero gola a qualsiasi bambino. Per i fan di sempre invece, vale sempre lo stesso consiglio: rinunciare alla visione del film e dare valore ai bei ricordi tenuti da parte in tanti anni.