Candidato nel 2007 all’Oscar per il Miglior Film Straniero e presentato alla 60esima edizione del Festival di Cannes nella sezione “Un Certain Regard”, You, the Living costituisce la seconda tappa della “Living Trilogy” del regista svedese Roy Andersson. La pellicola si colloca a metà di un trittico inaugurato dal regista nel 2000 con Songs from the Second Floor e chiuso, almeno per il momento, da A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence, vincitore del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2014. Proponendo circa cinquanta brevi scene, più o meno legate tra loro, You, the Living esplora ora con delicatezza ora con sferzante ironia l’esistenza di alcuni abitanti di un’anonima città nordeuropea: ciascuno di essi è in bilico tra il procedere faticoso dei giorni – con le piccole e grandi difficoltà che questi portano con sé – e il momento del sogno, spazio neutrale nel quale dare voce alla propria domanda di felicità e in cui lasciare i propri demoni liberi di scatenarsi. Una folta schiera di personaggi, alle prese con situazioni bizzarre (nella maggior parte dei casi sofferte) popolano l'immaginario di Andersson: una donna scontenta della vita si consola con la bottiglia; un uomo è condannato alla sedia elettrica per aver sbagliato il gioco della tovaglia a una cena di famiglia (altrui); una giovane ragazza è follemente innamorata di un cantante rock troppo concentrato su sé stesso; uno psichiatra confessa di non riuscire più a sopportare i propri pazienti e la propria professione. A tenere uniti i molti protagonisti di questo affresco corale è il tentativo – disperato, talvolta, ma sempre perpetrato – da parte di essi di armonizzarsi con un’esistenza spesso ostile. Il tema, tanto antico quanto del resto ancora fecondo, viene sviluppato da Andersson con la giusta dose di serietà e leggerezza, così da sfociare in momenti esilaranti di grottesco umorismo che proiettano lo spettatore nella greve atmosfera del teatro dell’assurdo, richiamando in particolare alla memoria alcuni tra i migliori interni casalinghi usciti dalla penna di Eugène Ionesco. Le fredde e slavate tinte pastello e il rilievo plastico delle figure contribuiscono a creare un’atmosfera sospesa e quasi cartoonesca, mentre la recitazione impostata e intenzionalmente sovraccarica degli attori (che spesso guardano in camera come se si trovassero su di un palcoscenico teatrale) conferisce a questa umanità mesta e sgangherata un taglio macchiettistico. Se il film risente in qualche modo di un’eccessiva autorialità - che finisce per affaticare lo spettatore, costretto a seguire per brevi lassi di tempo più di una vicenda della quale non è sempre facile intuire il senso - d’altra parte bisogna riconoscere al regista il merito di affrontare con uno sguardo fresco ed efficace una questione complessa e senza dubbio di non immediata risoluzione. You, the Living racconta vite disperate senza scadere mai nel patetico (ma ricercando tutt’al più il grottesco) ed evitando di crogiolarsi in una crudeltà fine a se stessa. «Non se la prenda…è la vita» dice il condannato a morte al suo avvocato avvilito dalla terribile sentenza. Sembra essere proprio questo il messaggio di fondo del film: un invito ad accettare l’esistenza, malgrado la sua bieca piccolezza. E anche se, forse, siamo tutti un po’ egoisti e meschini, come sostiene lo psichiatra nel suo monologo liberatorio, vale la pena tentare. All’inizio del film alcuni versi tratti dalle Elegie romane di Goethe campeggiavano sullo schermo nero: «Gioisci dunque, o vivente! di questo posto riscaldato dall’amore prima che il fatale Lete bagni il tuo piede fugace!». È proprio attraverso la lente di queste parole che va letta un’opera complessa e raffinata come questa di Roy Andersson.