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La ciociara

19/01/2015 12:00

Costanza Gaia

Recensione Film,

La ciociara

Tratto dall'amonimo romanzo di Alberto Moravia, La Ciociara (1960) è uno dei titoli più celebri del Neo realismo italiano...

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Tratto dall'amonimo romanzo di Alberto Moravia, La Ciociara (1960) è uno dei titoli più celebri del Neo realismo italiano. Il lungometraggio di Vittorio DeSica che si aggiudica il David di Donatello, il Nastro d'argento il premio Oscar fa di Sophia Loren la diva del cinema drammatico.


Cesira (Sophia Loren), durante la Seconda Guerra, è costretta a lasciare Roma assieme alla figlia tredicenne, Rosetta (Eleonora Brown). La donna, prima di partire, lascia in custodia il negozio di alimentari a Giovanni, un amico del defunto marito, il quale accetta di aiutarla, sulla spinta di un affetto sincero misto a interesse. Cesira, per bisogno, accetta le attenzioni dell'uomo, ma quando quest'ultimo cerca di toccarla senza permesso, lo respinge con violenza. Da quest'episodio emerge la portata e la profondità del carattere di Cesira, pratica, disposta a sporcarsi le mani per il bene suo e della figlia, ma ferma e padrona di se stessa. Se gli uomini si girano a guardarla quando cammina per strada, non se ne cura, ma se cercano di sbirciarle il seno si abbottona la camicia. Madre e figlia partono e tornano nella regione di origine di Cesira, la Ciociaria, prima sinonimo solo di fame e vita aspra, ora luogo più sicuro rispetto alla città, dove la guerra è fatta di aerei lontani e spettacolari. Con le valigie in testa, a piedi, raggiungono una famiglia di contadini disposti a ospitarle: trovano una relativa serenità e un forte desiderio di vivere normalmente, coltivando la terra, pulendo le erbette per la cena, tessendo. Quota del Neorealismo è di mostrare la quotidianità del lavoro nei campi, di case povere, stalle e tradizioni.


In mezzo a una realtà arcaica dove gli uomini hanno la tessera del Partito fascista solo per quieto vivere, Faccetta nera è cantata per puro intrattenimento e le donne scherzano sulle prestazioni del Duce, si delinea un personaggio differente, Michele, figlio di questo mondo ma al contempo estraneo. Intellettuale sensibile e idealista, Michele legge il Vangelo ad alta voce, inascoltato e guardato quasi con compassione e rimane una figura molto cara a Moravia, in quanto incarna la sua apertura al marxismo. Il giovane fa amicizia con l'ingenua Rosetta, ombra della madre, devota a tal punto da non perdere nessuna occasione per inginocchiarsi e pregare. Ma la guerra incombe lasciando uno scenario di macerie e follia: una madre impazzisce dopo avere perso il neonato che stava allattando dopo un'esplosione. Cesira cerca di proteggere la figlia in tutto, ma quando un plotone profana la chiesa dove stanno riposando non può nulla: la bambina non c'è più e una metamorfosi violenta la tramuta in una morta che cammina senza speranza. Come in Roma città aperta e Sciuscià i bambini sono le vittime per eccellenza di conflitti e povertà. L'infanzia spezzata è un dito puntato verso chi guarda, un monito per la responsabilità verso il futuro.


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