Jack (John Cusack) è un uomo al soldo della malavita, che viene incaricato dal feroce boss Dragna (Robert De Niro) di prelevare una misteriosa borsa e aspettare il suo arrivo in una stanza di motel. Non sa però che anche altri sono a conoscenza della borsa e proveranno a metterlo in difficoltà in ogni modo. Motel (in originale The Bag Man) è l'opera prima del regista David Grovic, che per il suo esordio sceglie di cimentarsi con un thriller-noir dai toni cupi e crudi. Immerso in un'atmosfera plumbea e perennemente notturna, il film narra di un sicario della mafia che deve consegnare una borsa al suo boss. Raccontato nel tempo di una sola notte e girato quasi interamente all'interno di una stanza di motel, il film di Grovic difetta fin dai primi minuti di una realizzazione e di un racconto che non ha la tensione che vorrebbe, oltre che di una messa in scena troppo televisiva per coinvolgere. Thriller, noir, B Movie, splatter: risulta evidente quasi da subito che Motel non sappia che genere prendere con esattezza, né come trattare in maniera inedita i suoi personaggi. Se il protagonista è il tipico antieroe in cui si fa fatica a immedesimarsi, De Niro è ormai macchietta di se stesso nell'ennesimo, scialbo ruolo da boss della mafia. Nonostante la trama si avvii subito allo svolgimento, Motel non arriva a funzionare. Forse per inesperienza o per semplice incapacità , Grovic non tiene il ritmo di una vicenda che si vorrebbe claustrofobica, tesa negli spazi e nei tempi, giocata su una snervante attesa. Se da un lato i personaggi meritavano forse uno sviluppo migliore, piuttosto che una riduzione a figurine precostruite, la sceneggiatura non sfrutta al meglio neanche l'idea McGuffin della borsa. Nelle sue eccessive due ore di durata, Motel è un'opera di pochissimo respiro cinematografico, più simile a un prodotto televisivo mediocre. E se nemmeno le sequenze più estetizzanti - dove il sangue sgorga e rimbombano gli spari - riescono a sollevare la pellicola dall'anonimato (e anzi forse regalano un inconsapevole tocco di ridicolo involontario), poco fa anche la superficiale storia d'amore tra il protagonista e la femme fatale di turno (Rebecca Da Costa), che segue un andamento previsto e privo di sentimento. Grovic prova nelle battute finali un rimescolamento delle carte narrative, trasformando il suo debole film in una versione riveduta e corretta del mito di Bonnie & Clyde. Ma per giungere a questo, lo spettatore deve avere la forza di arrivare in fondo. E non è detto che ci riesca.