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Maraviglioso Boccaccio

24/02/2015 11:00

Francesco Restuccia

Recensione Film,

Maraviglioso Boccaccio

Può l’amore sconfiggere la peste? Questo sembrano chiedersi i fratelli Taviani in Maraviglioso Boccaccio, liberamente tratto dal Decameron...

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Può l’amore sconfiggere la peste? Questo sembrano chiedersi i fratelli Taviani in Maraviglioso Boccaccio, liberamente tratto dal Decameron. Può l’amore sconfiggere la crisi? La domanda sorge subito dopo, quando ci si rende conto che parlare delle novelle di Boccaccio significa per i due registi toscani parlare di oggi.


Firenze, 1348. Una città che odora di morte, ingrigita e senza speranza. La disperazione tocca tutti: chi è malato e finisce per suicidarsi o per cercare di contagiare altri per condividere l’ingiustizia; chi è sano e non si fida più di nessuno, terrorizzato dal contagio, finisce per farsi contagiare o seppellire coi cari morti; chi è immune e finisce per perdere il senso della differenza tra vita e morte. Sono le scene più forti del film, a cui i Taviani decidono di dare una presenza maggiore che nell’opera letteraria perché è proprio del nostro essere senza speranza che vogliono parlare. In questo contesto sette ragazze e tre ragazzi decidono di lasciare la città per rifugiarsi in una villa in campagna, dove si possa respirare. All’inizio alcuni esitano, vedono questa fuga come un arrendersi che non cambierà le cose, ma alla fine partono tutti e dieci: non per salvarsi dal contagio, bensì per liberare la mente dai pensieri e ritrovare un po’ di speranza. Così, decidono di passare le giornate raccontandosi delle storie. Ci si aspetterebbe a questo punto che le novelle narrate dai giovani siano briose, irriverenti e liberatorie, ma no: la pesantezza dell’inizio del film non scompare mai davvero. Non solo perché i novellanti restano pensierosi fino alla fine, ma perché delle cento novelle di Boccaccio i fratelli Taviani hanno deciso di farne raccontare cinque che rappresentano in qualche modo una lotta dell’amore contro la durezza della vita.


Quest’amore, però, non vince mai davvero. Il primo e l’ultimo racconto parlano di una passione non corrisposta che finisce sì per essere ricambiata, ma senza convinzione: nel primo caso mostrano la bassezza morale del marito legittimo, nel secondo una dedizione e un sacrificio che muovono a pietà invece che alla passione. Il penultimo episodio è forse il più convincente, per quanto la scelta di far parlare tre toscani medievali rispettivamente con l’accento polacco (Kasia Smutniak), napoletano (Lello Arena) e pugliese (Michele Riondino) faccia storcere un po’ il naso. Qui la passione c’è ed è intensa, ma il fatto che sia impossibile non è certo un messaggio di speranza. Al centro, due storie che dovrebbero avere toni più leggeri: una sull’ipocrisia di alcune monache di clausura, non proprio caste, dove non si tratta davvero dell’amore che trionfa quanto dell’insostenibilità di una vita di privazioni; l’altra su uno scherzo che potrebbe sembrare divertente dal punto di vista di chi lo compie ed è invece tragico per chi lo subisce. Questa fuga dalla disperazione si risolve in gran parte nella ricerca di un po’ di bellezza che i registi trovano nei paesaggi, nei volti degli attori e nei loro movimenti nello spazio - che sembrano coreografati - ma che resta in fin dei conti fine a se stessa. All’opposto del Decameron di Pier Paolo Pasolini, che rinunciava da principio a ogni bellezza e ricercava un senso nell’atteggiamento liberatorio, Maraviglioso Boccaccio è un film in cui ogni tensione è trattenuta. Come a suo modo Il giovane favoloso di Mario Martone, sembra quasi pensato per essere proiettato nei licei durante le lezioni di letteratura: ben girato, immagini gradevoli, attori bravi (per quanto tavianamente teatrali e forzati) e ciononostante un film a cui non si trova davvero un senso. Può l’amore sconfiggere la crisi? Non così.


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