A cinque giorni dalla chiusura dell'anno accademico all'università di Pisa, cinque coinquilini si apprestano a passare insieme l'ultimo week-end nella casa che hanno condiviso tra feste, esami, risate e addii. A un passo dal tuffo nel mondo reale, faccia a faccia con i propri problemi e fantasmi, i ragazzi devono fronteggiare la vita al di fuori delle mura universitarie. Ilaria (Silvia D'Amico) sta per tornare a Frosinone incinta di un uomo sposato e senza alcuna prospettiva; Vincenzo (Alessio Vassallo) è stato scelto come professore associato in Islanda, a discapito della sua relazione con Francesca (Melissa Anna Bartolini), che sogna di fare l'attrice e vuole trasferirsi a Milano. C'è Paolo (Paolo Cioni), il giullare del gruppo e in qualche modo anche la sua voce più saggia; infine Andrea (Guglielmo Favilla), che cerca di nascondere quanto la rottura con Marta (Isabella Ragonese), diventata una starlette, lo abbia ferito. Presentato nella sezione Prospettive Italia allo scorso Festival Internazionale del Film di Roma - dove ha vinto il premio del pubblico oltre a numerosi riconoscimenti collaterali - Fino a qui tutto bene è l'opera seconda di Roan Johnson. Un regista molto giovane (specie se si tiene conto della media nella cinematografia italica) che guarda con occhi nuovi al mondo degli universitari in crisi. La storia di un gruppo di studenti che non sanno cosa fare delle proprie esistenze, una volta lasciato il confine rassicurante dell'istituzione. Un cliché sempre più sfruttato negli ultimi anni, da quando la crisi e la disoccupazione giovanile ha raggiunto i picchi più alti. Eppure Johnson decide di affrontare questa spinosa tematica da un punto di vista nuovo: piuttosto che inventare sotterfugi per farcela o cadere in nuove depressioni, i protagonisti di Fino a qui tutto bene hanno voglia di sconfiggere la crisi e inseguire i propri sogni. Se è vero che per raggiungere la meta c'è da considerare la possibilità del fallimento, allora tanto vale battersi per qualcosa che si ama svisceratamente. Sono giovani pieni di sogni e paure ma, a differenza dei molti che li hanno preceduti sul grande schermo, sono consapevoli del mondo disastrato che li attende dopo la laurea. E proprio questa consapevolezza permette loro di essere non semplici personaggi di celluloide ma veri e propri caratteri, con il quale il pubblico si riconosce. In questo senso è emblematica la metafora che Roan Johnson dispiega per tutta la pellicola: da una parte la piscina gonfiabile in terrazza, dove i cinque amici passano i loro pomeriggi, dall'altra - di colpo - il mare aperto e sconfinato, da navigare con una piccola barca a remi. Va detto (e sottolineato!) che Fino a qui tutto bene è anche e soprattutto una commedia. Non una pellicola che si compiace di sé, che si innalza a giudice di un contesto sociale e/o culturale ma un film in cui si ride, nonostante scene dalla forte anima malinconica. Roan Johnson dirige una pellicola con un equilibrio invidiabile, perfettamente calibrato in ogni minima parte. Ciò che sancisce maggiormente il successo di questa commedia è la forte chimica tra i protagonisti. I cinque attori che danno il volto ai personaggi sono così veri e così in sintonia che lo spettatore ha più di una volta la sensazione di spiare attraverso il buco della serratura un mondo che, alla fine dei conti, ha vissuto sulla propria pella e del quale forse ha un po' di nostalgia.