Quello in cui si trova improvvisamente catapultato Alberto Santini (Riccardo Rossi), medico della mutua con il pallino dell’ordine e della precisione, è probabilmente l’incubo di qualsiasi padre: scoprire all’improvviso che la propria bambina è sul punto di perdere la verginità. Separato da una moglie spesso assente, Alberto si sente il principale responsabile dell’educazione della figlia Bianca (Benedetta Gargari): in presenza di questa bella e spigliata quindicenne vorrebbe mostrarsi aperto e premuroso ma, con i suoi calzini a quadri («Questi li usava pure Kennedy!») e i suoi completi tutti uguali, finisce per sembrare irrimediabilmente impacciato e fuori luogo. Curiosando nella cameretta della figlia, Alberto compie il fatidico errore di leggere il suo diario. Non c’è dubbio: Bianca è sul punto di perdere la verginità. Non gli resta che chiamare a rapporto l’amica Marina (Fabrizia Sacchi), madrina di battesimo di sua figlia e – giustappunto – ginecologa, per organizzare in fretta e furia una cena alla quale invitare anche Bianca. Il piano prevede che Alberto e Marina introducano l’argomento critico un po’ per caso, illustrando successivamente alla ragazza i rischi del sesso non protetto e della disinformazione. Superfluo dirlo: nulla andrà come sperato. Soprattutto dal momento in cui si aggiungeranno alla tavolata Giovanni (Stefano Fresi), il marito bonario e pasticcione di Marina, capace di collezionare una gaffe in fila all’altra, e Irene (Anna Foglietta), una confusionaria collega nei cui confronti Alberto nutre una spiccata antipatia. Nelle sale – non a caso – a partire dal giorno della Festa del Papà, La prima volta (di mia figlia) rappresenta l’esordio alla regia di Riccardo Rossi. L’attore e doppiatore romano sceglie di tratteggiare una vicenda di paternità, pur non essendo genitore, ispirandosi alla vicende dei propri amici e dei rispettivi figli. La storia che viene raccontata risulta perciò attuale nella sua universalità: ogni spettatore può ritrovare se stesso e la propria giovinezza nei fatti che hanno luogo sullo schermo, libero di ricordare – oppure di immaginare – la propria prima volta, insieme ai personaggi del film che, seduti al tavolo del ristorante, rievocano le circostanze ora romantiche ora imbarazzanti nelle quali hanno perso la verginità. Il tema della sessualità viene affrontato virtuosamente, senza eccessive banalizzazioni né intenti troppo didascalici. Alla fine, l’unica morale che trapela insegna che non esistono età giuste ed età sbagliate per fare l’amore o per diventare grandi, poiché in fondo è sufficiente saper essere se stessi. La prima volta (di mia figlia) è un film dalle ambizioni modeste: racconta una storia che si sviluppa di fatto nell’arco di un’unica giornata, nella fortunata ambientazione borghese della tavola che conferisce alla pellicola un andamento teatrale. Una regia decisamente tradizionale (come suggerisce la sequenza iniziale, dove il protagonista si veste sincronizzando i propri gesti con la colonna sonora) viene ravvivata da momenti potentemente autoironici. La riuscita di un’opera come questa è tutta nella sua capacità di non puntare troppo alto: Riccardo Rossi aspira a raccontare dei personaggi, non a consegnare il ritratto di un’epoca o di una generazione. Il neoregista sa certamente dove fissare l’asticella e fa dignitosamente il proprio dovere, riuscendo persino a regalare allo spettatore qualche momento di genuino divertimento.