
Le ambizioni hollywoodiane sono palesi: William Friedkin nel titolo, De Palma nei temi e Scorsese nell’estetica. Mentre French Connection cita il cult del 1971 con Gene Hackman, un’atmosfera malinconicamente 70’s riporta alla mente la tradizione francese dei grandi noir con Jean-Paul Belmondo. Jean Dujardin e Gilles Lellouche (di nuovo in coppia dopo Gli infedeli) fanno di una trama gangster piuttosto classica uno scontro affascinante nella Marsiglia dei Settanta, spolverata di droga e agitata delle ossessioni di due uomini. A metà degli anni Settanta, a Marsiglia, Pierre Michel (Jean Dujardin), magistrato dagli ideali incorrutibili, dichiara guerra al narcotraffico e a Gaëtan Zampa (Gilles Lellouche), padrino della French Connection, clan mafioso che gestisce il business della droga. Tra agguati, omicidi e giochi di potere si dipana una battaglia destinata a essere all’ultimo sangue. Come un tempo Eliot Ness, anche Pierre Michel sapeva che, contro un boss che rispetta solo le leggi del crimine, applicare una convenzionale giustizia tardiva non conduce a nessun risultato. Dopo anni passati a contrastare la malavita come un giudice virtuoso, è l'incontro con Gaëtan Zampa a fare di un magistrato un combattente. Da un lato c'è la lotta di Michel contro i propri demoni; dall'altro Zampa, disprezzabile nemico, con cui lo spettatore prova a non simpatizzare. In French Connection giustizia e crimine si mescolano: il gangster irresistibile e il giudice intoccabile, antagonisti a distanza, sono uniti a doppio filo da un legame di fragilità e silenzio che li rende simili, eroi destinati alla tragedia. Alle loro spalle, Marsiglia, indurita dalle violenze, li osserva come una madre severa pronta ad accogliere i suoi figli più tormentati. Hollywood torna nei temi ma anche nel budget, profuso nella meticolosa ricostruzione del capoluogo provenzale e nella rappresentazione - un tantino romanzata - della vita criminale: fra droga, omicidi e automobili veloci, Cedric Jimenez raffigura tutti i topoi cinematografici necessari a generare l'azione e il gangster movie. Peccato che, infine, dietro la luccicante confezione, entrambi questi elementi si rivelino piuttosto scialbi e deludenti. Superata la fascinazione di interpreti e ambientazioni, infatti, va ammesso che il limite di French Connection è molto simile a quello che era stato per il nostro Romanzo Criminale del 2005: se alla regia di Michele Placido, più interessata all’indagine individuale del criminale che alle vicende storiche, mancava visione d’insieme e sguardo magnificente, il film di Cedric Jimenez ha il problema opposto. L’impianto della storia è così accurato da assomigliare a una cartolina: manca l’approfondimento in ogni aspetto che non sia visivo, dalla vera storia del “giudice ragazzino” alla lotta contro la criminalità marsigliese fino dai rapporti con la politica e al fervore di quegli anni. Con la sua ricostruzione accurata e credibile, Jimenez mostra un fine cinematografico incerto e una regia classica fino a risultare convenzionale. French Connection è un film perfettamente inserito al genere a cui appartiene, ma senza alcuna originalità. Con una storia umana che già di per sé faceva metà della storia e interpreti che vanno magnificamente a ruota libera, il risultato è una pellicola con momenti di eccellenza ma una diffusa vaghezza di intenti.