Neill Blomkamp, non pago del successo di District 9 e delle intuizioni proposte con Elysium, torna a proporre la sua personale visione del futuro – quanto mai prossimo, trattandosi del 2016 – con Humandroid. In una società sempre più polarizzata e violenta, il Sudafrica diviene testa di ponte per l’adozione di automi all'interno delle forze dell’ordine: le unità “Scout”, progettate dal geniale Deon (Dev Patel) e adottate dalla polizia sudafricana, hanno contribuito in modo determinante alla riduzione della criminalità. Il successo di Deon – al contempo causa della rabbia di Vincent (Hugh Jackman), progettista meno brillante e legato a un concetto di robotica più pesante – non è un punto di arrivo: la sua ambizione è infatti creare un robot che abbia coscienza di sé e che sappia apprendere e provare emozioni esattamente come un essere umano. Il sogno non trova però il supporto della CEO (Sigourney Weaver) dell’azienda per la quale lavora, che non vede in esso alcun margine di profitto. Tuttavia l'occasione si presenta nel momento in cui l’unità 22 viene danneggiata in modo irreparabile e lui ha modo di prenderla e installarci il software sul quale lavora da tempo. Peccato che una banda di disadattati, Ninja, Yolandi e America, riesca a impadronirsi del droide, che avrà così i peggiori insegnanti per apprendere cosa significhi essere senziente. È così che nasce Chappie: un robot con le competenze e le capacità di apprendimento di un neonato, al quale insegnare, con intenti ben diversi, come si sopravvive e ci si rapporta con il mondo. Le conseguenze di questa "educazione" innescheranno reazioni a catena, che vedranno tutti i personaggi coinvolti cercare di difendere il proprio tornaconto e le proprie ambizioni in una guerra che difficilmente potrà vedere dei netti vincitori e dei palesi sconfitti. La propensione alla fantascienza e le intuizioni del regista e sceneggiatore sudafricano si riconfermano in un film che può essere nettamente distinto in due parti: la prima, più confusa e semplicistica, che pone in modo un po’ raffazzonato le basi per la seconda, in cui Blomkamp sviluppa tematiche care alla narrativa sci-fi come il rapporto fra uomo e macchina, le possibilità di interazione, l’alienazione, l’emarginazione del diverso, le riflessioni sulla vita e la morte alla luce di una potenziale eternità fisica. Il regista adotta un’estetica che rimanda con forza a quella del suo primo lungometraggio, contaminandola con richiami a tante pellicole del passato: su tutte Robocop (prima versione), ma anche e soprattutto la serie di Cortocircuito e film più moderni come Io, robot. Non si tratta di una pellicola innovativa né per tematiche né per estetiche. Humandroid sfrutta cliché e topoi arcinoti, lavorando su personaggi stereotipati ed estremizzati all’eccesso; tuttavia riesce a essere originale nel modo in cui mescola questi elementi e nella serietà con la quale porta avanti i suoi assunti e i conflitti. La somma delle sue parti dà all’insieme una qualità complessivamente buona. Ottima è la profondità di alcune ipotesi e l’inquietudine del messaggio di fondo, per il quale quella che vorremmo considerare fantascienza, nei suoi punti critici, è il presente di un 2016 spaventosamente dietro l’angolo.