Paul Haggis produce, scrive e dirige Third person, il racconto di tre storie d’amore che si svolgono simultaneamente tra Roma, Parigi e New York. Città a loro modo uniche, eppure lasciate in ombra: un'ambientazione che privilegia gli interni, plasmando un’atmosfera a tratti claustrofobica, impedisce di esibirne l'autentica bellezza. Il regista decide di focalizzarsi esclusivamente sui sei personaggi principali, interpretati da un corpo attoriale assai vario: nella romantica Parigi si svolgono le vicende di Michael e Anna (Liam Neeson e Olivia Wilde), nella Grande Mela quelle di Rick e Julia (James Franco e Mila Kunis), nella Città Eterna si muovono Sean e Monika (il Premio Oscar Adrien Brody e Moran Atias). Nessuna coppia conosce l’altra: il filo rosso è l’amore, per un amante o per un figlio; l'amore puro o immorale. Haggis dedica uno spazio non indifferente a un tema a lui caro (e già precedentemente affrontato in Nella valle di Elah), ossia il rapporto genitori-figli, questi ultimi spesso vittime dell’irresponsabilità degli adulti. Proprio la non (cor)relazione tra personaggi, tanto distanti quanto simili, fa sì che ognuno sia la “terza persona” dell’altra. O ancora, il concetto di Third person potrebbe essere collegato a quello ibseniano di “terzo escluso”, figura che il drammaturgo norvegese poneva come oggetto funzionale alla felicità di coppia. Ma non per tutti gli innamorati di Haggis si presuppone l’esistenza di un tale oggetto. Più precisamente, per nessuno di essi esiste. Third person è un film del 2013: presentato in anteprima mondiale a settembre dello stesso anno al Toronto International Film Festival, ha impiegato quasi due anni ad arrivare nelle sale cinematografiche italiane. Giunto al suo quinto lungometraggio, il regista canadese ha voluto strafare e sembra proprio che abbia perso la bussola, forse tra una location e l’altra o magari per via dei numerosi attori, alcuni dei quali di un certo peso professionale non pienamente sfruttato (non si dimentichi la vincitrice del Premio Oscar Kim Basinger, nei panni di Elaine). I regolari salti spazio-temporali tra un episodio e l’altro, che forse erano stati pensati come elementi filmici ritmici, impediscono allo spettatore di cogliere la performance di ogni singolo interprete. Il film, infatti, si riduce nel resoconto frammentato di una trilogia amorosa, coronata da un epilogo confuso e aggrovigliato. Una pellicola più prolissa del dovuto, visivamente piacevole ma noiosamente pretenziosa e meno concettuale di quanto voglia far credere, con costanti riferimenti - all’acqua e al bianco - di cui non si riconosce il fondamento e alcune anomalie diegetiche. Third person è un caotico groviglio di trame, somma di tre storie mediocri e, infine, non così inconsuete.