1988: Haris (Denis Muric) è un piccolo selvaggio senza nome trovato da un gruppo di cacciatori fra le montagne della Bosnia. Ha vissuto con i lupi da quando è nato e, proprio come una bestia, viene catturato e trascinato in un istituto formativo in Serbia, dove dovrà imparare a civilizzarsi. Haris, il bambino-lupo figlio di nessuno, se non della natura selvaggia, ringhia, graffia, morde, urla contro quegli strani animali, gli uomini, esseri tanto simili a lui eppure così spiacevoli. Figlio di nessuno, opera povera di parole e ricca di silenzi rivelatori, ci catapulta nella devastata ex Jugoslavia alla fine degli anni Ottanta. Lo sguardo terrorizzato di un ragazzo cresciuto nei boschi diventa presto anche quello della macchina da presa, occhio esploratore che assapora, ferisce, impara. Ispirandosi ad avvenimenti realmente accaduti, il regista e sceneggiatore serbo Vuk Rsumovic lancia sul grande schermo il quindicenne debuttante Denis Muric: il giovanissimo attore è ancora inesperto ma, senza farsi intimidire dalla macchina da presa, dà vita a una intensa interpretazione. Una recitazione decisamente minimalista svuota di contenuto ogni dialogo e non si serve della parola, perché i veicoli comunicativi si materializzano in una pallida fotografia, nella luce, negli spazi ermetici di un mondo nemico cui Haris non sente di appartenere. Un universo che fino alla fine respinge, col significativo gesto del togliersi le scarpe (simbolo della civilizzazione e dell'adeguamento) per camminare a piedi nudi, senza filtri né barriere, sulla gelida neve delle montagne che hanno cresciuto e cullato Haris e che, allo stesso modo, lo hanno imbruttito fino a somigliare a una belva, privandolo così (ingiustamente?) della sua naturale condizione di essere umano. Ma l'attenta riflessione di Rsumovic non illustra semplicemente il processo di civilizzazione di un selvaggio. Haris conosce due mondi, quello animale e quello "civilizzato", ma quale dei due è il più giusto? Uomo e belva sono davvero così diversi? Magari sì. Entrambi posso essere spietati e pronti a uccidere ma, per quanto strano possa sembrare, è l'animale a vivere più civilmente dell'uomo, secondo quelle leggi non scritte che la natura ha dettato. Autore di diversi cortometraggi, programmi televisivi e documentari, Rsumovic con Figlio di nessuno dirige e scrive la sua prima creazione. Un lavoro che soffoca ogni debolezza sentimentale nello squallore degli interni. Un film provocante e irritante (un bambino che mangia rumorosamente, ringhia, striscia sul pavimento, si strappa i vestiti di dosso è oltremodo indisponente) ma soprattutto un'opera dal sentimento autentico, impossibile non apprezzarla.