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Child 44 – Il bambino numero 44

24/04/2015 11:00

Erika Pomella

Recensione Film,

Child 44 – Il bambino numero 44

Leo Demidov (Tom Hardy) è riuscito a farsi strada nell'Unione Sovietica di Stalin grazie a prodezze in guerra che lo hanno portato a diventare uno degli investi

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Leo Demidov (Tom Hardy) è riuscito a farsi strada nell'Unione Sovietica di Stalin grazie a prodezze in guerra che lo hanno portato a diventare uno degli investigatori più in vista del MGB. Compito di Leo è, infatti, quello di trovare e annientare i dissidenti. Tra questi c'è la spia Anatoly Tarasovich Brodsky (Jason Clarke) che, dopo essere stato catturato e torturato, fa i nomi di alcuni suoi presunti complici, compresa Raisa (Noomi Rapace), la moglie di Leo. Mentre cerca prove a sostegno del tradimento della consorte, però, Leo indaga sulla morte del figlio dell'amico Alexei (Fares Fares), un bambino trovato senza vita nei pressi di una linea ferroviaria. Convinti del fatto che l'omicidio sia frutto di società capitalistiche, i superiori di Leo etichettano la dipartita come un tragico incidente. Quando però il soldato continua a fare le sue ricerche - e per di più si rifiuta di denunciare la moglie - il suo superiore Kuzmin (Vincent Cassell) decide di mandarlo in esilio a Volsk sotto la guida del generale Mikhail Nesterov (Gary Oldman). Qui Leo scoprirà le radici di un male che sembra inestirpabile: ombre e malvagità si accavallano sul suo percorso, dove sarà costretto anche a scontrarsi con il sadico collega Vasil (Joel Kinnaman).


Child 44 è un elegante thriller tratto dal bestseller di Tom Rob Smith, a sua volta liberamente ispirato a fatti di cronaca reali avvenuti in Russia negli anni Cinquanta. Daniel Espinosa sceglie una chiave registica che sembra puntare sullo stile documentaristico: la sua macchina da presa è in continuo movimento, instabile e caotica; le riprese sono spesso sporche, ingarbugliate e oscure. Gli anni bui dell'unione sovietica, nel contesto socio-politico in cui i personaggi sono costretti a muoversi, vengono così concretizzati senza bisogno di grandi declamazioni o descrizioni futili. La paura di quegli anni, la mancanza di stabilità, l'assenza di lealtà vengono rese perfettamente dalla regia di Espinosa: la macchina da presa diventa un pennello in grado di rendere palesi le zone d'ombra di uno dei periodi più spaventosi della storia della Russia. Su questo sfondo putrefatto e pieno di oscurità viene costruita tutta la vicenda di Leo, orfano e marito, soldato e ribelle. Il suo è, insieme, un percorso di perdita e redenzione, di malvagità e infinita dolcezza. Cresciuto dalla società generata da Stalin e reso un eroe proprio da quella mentalità, sarà costretto poi a voltarle le spalle, a porsi mille domande, a finire lui stesso sulla lista nera nella quale era solito vergare i nomi dei dissidenti. Il protagonista porta dunque su di sé una sorta di predestinazione, una maledizione che lo fa somigliare ai personaggi senza speranza di Tolstoj: Leo è fondamentalmente un uomo buono, con la sua linea di valori, che serve e combatte, che ama e che viene tradito, ma che non conosce il significato della parola arrendersi. L'attore britannico Tom Hardy si cala in questo personaggio, aggiungendo un ulteriore successo alla sua carriera fatta di personaggi che oscillano lungo il confine del bene e del male. Hardy mette al servizio del suo regista voce e corpo, modificando se stesso, piegandosi, sporcandosi e diventando sempre qualcosa di diverso. Leo è una massa di creta informe, che viene modellata man mano che la verità cerca di far capolino in un sistema comunista che ha paura persino della sua stessa ombra.


Nonostante queste evidenti doti e un cast di prim'ordine, che riesce a convincere anche lo spettatore più scettico, Child 44 ha però il demerito di non essere sempre in grado di tenere insieme i pezzi di una sceneggiatura troppo satura. Il personaggio di Kuzmin, così come quello del generale Nesterov appaiono e scompaiono dallo schermo, senza veri legami logici. Alcune motivazioni, alla base delle scelte dei personaggi, sono solo accennate, tanto che lo spettatore deve porsi domande che lo distraggono dall'obiettivo principale del film: intrattenere il pubblico, giocare con la sua curiosità e farlo innamorare.


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