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Cake

05/05/2015 10:00

Valentina Pettinato

Recensione Film,

Cake

Fuori dai soliti schemi la Jennifer Aniston di Cake

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Fuori dai soliti schemi la Jennifer Aniston di Cake, ultima pellicola di Daniel Barnz, presentata a settembre al Festival di Toronto. Nel film la Aniston interpreta un ruolo difficile e drammatico: è Claire, una donna alla deriva, tutta astio e cinismo verso chiunque si frapponga tra sé e i suoi antidolorifici. Sopravvissuta miracolosamente a un bruttissimo incidente, Claire salva la sua vita ma perde la felicità domestica: aveva una casa piena di affetti, una famiglia e un lavoro; ora ciò che le resta sono solo cicatrici e dolore, che le ricordano che le giornate non saranno mai più le stesse. Durante gli incontri con il suo gruppo di sostegno viene inspiegabilmente attratta dalla storia di una ragazza, suicida giovanissima. Questa passione sinistra la porterà a compiere gesti inconsulti, apparentemente privi di senso, che la condurranno a riprendere poco a poco contatto con le piccole cose, fino a trovare un sentiero meno accidentato per ricominciare da capo.


C’è qualcosa di spiazzante in Cake, che non è legato alla trama ma al modo in cui la Aniston affronta un ruolo che sulla carta non le si addice. Visibilmente appesantita da alcuni chili in più, senza trucco e con cicatrici che le rigano il volto, l’attrice brilla di luce nuova. Paradossale, perché il suo personaggio è tutt’altro che luminoso. Da sempre connotata come la ragazza della porta accanto, in questa pellicola Jennifer Aniston è chiamata a raccontare l'ossessione per la morte e il suicidio, con un’attitudine burbera e insensibile che si fa fatica ad attribuire alla giovane Rachel di Friends. Dal punto di vista narrativo il film racconta la sopravvivenza come una maschera triste sul volto di una donna infelice, che guarda dall’alto gli eventi senza mai volerli toccare, nauseata già solo dal fatto che il mondo vada avanti lo stesso. Daniel Barnz confeziona un prodotto che contiene molti cliché di genere: la domestica buona, strumentale a raccontare qualche singulto di bontà della protagonista; il giardiniere belloccio, che si presta a soddisfare bisogni di femminilità; l’ex marito, pronto a consolarla nei rari momenti di sconforto concessi. Tutti i personaggi sono relegati a espediente narrativo, per far emergere l’umanità di una donna che la vita avrebbe voluto disumanizzare. Spogliata di tutto, Claire mantiene come unico tratto dominante un certo snobismo che le consente di rimanere lo spettro di ciò che era, senza volersi minimamente migliorare (deride le cure, come la terapia in piscina, rifiuta di coprire le cicatrici e di sistemarsi i capelli). Sono proprio i personaggi che le ruotano attorno - gli stessi che Claire bistratta con tutte le sue forze - a provare a rimettere insieme la sua sensibilità di donna del passato, oggi a brandelli, senza riuscire nemmeno vagamente a rattopparla. La protagonista dovrà farcela da sola, eviscerando il rapporto vita-morte attraverso la prospettiva di chi l’ha forzato senza ritegno: Nina, la donna suicida.


Lo script di Patrick Tobin ha un pregio: quello di evitare di percorrere in maniera didascalica e straziante il passato della sua protagonista. Agendo per deduzione lo spettatore riesce a intuirne qualcosa, ma il regista proietta tutto il film in avanti, concentrandosi sul percorso di rinascita di Claire. Quello in cui Daniel Barnz non riesce è convincere, con registri "mistico-visionari" che non reggono; appassionare con un ritmo altalenante, sorprendere con dinamiche più che abusate. Cake deve quindi tutto alla performance della Aniston, infatti premiata dalla critica con tre nomination come miglior attrice protagonista: Golden Globe, Screen Actors Guild Awards e Broadcast Film Critics Association Awards. Al cospetto si questa interpretazione ogni tentativo di rendere la pellicola interessante fallisce inesorabilmente. Un' ottima prova di un'attrice protagonista, senza la quale il film non ha molto di buono. A parte la fetta di torta.


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