
Dalla commedia al thriller politico. Rocco Papaleo si trasforma in attore drammatico sotto la regia di Augusto Zucchi, interpretando - ironia della sorte - un comico con disturbi della personalità. La voce - Il talento può uccidere è la storia di Gianni, imitatore talentuoso sul cui suicidio indaga la figlia Giulia (Giulia Greco), ripercorrendo a ritroso la vita dell’artista. Grazie all'aiuto dello psicanalista di Gianni, interpretato dallo stesso regista, viene sviscerata la rara patologia psichiatrica di cui il protagonista soffriva: una volta vista la propria immagine riflessa su di una superficie specchiante, l'attore non riconosceva più il proprio volto. La domanda che dà al film di Zucchi la sua principale ragion d’essere è se, effettivamente, Gianni si sia tolto la vita e sopratutto perché. La ricerca spasmodica di una risposta a questo interrogativo è il filo d’Arianna per giungere alla verità sulla morte di un attore e di un padre. Le atmosfere cupe e le ambientazioni - sempre in luoghi chiusi - conferiscono al lungometraggio un carattere fortemente introspettivo e intimo, teatrale. Il protagonista, a pochi metri dallo spettatore ma da una posizione privilegiata, mette in scena il dramma di un uomo che perde se stesso su un palcoscenico. Non è un caso che la recitazione sia quella della pantomima da teatro: Zucchi, forte di una grande esperienza come regista e drammaturgo, diplomato alla scuola d’arte drammatica “Silvio D’Amico”, ha firmato le rivisitazioni di capolavori del teatro, come il Don Chisciotte di Michail Bulgakov e La bisbetica domata di William Shakespeare. La scelta di un’opera così particolare e, apparentemente azzardata, si rivela un debutto vincente. Anche se la sceneggiatura non è particolarmente curata e pare, a tratti, grossolana, il racconto risulta avvincente, inchiodando lo spettatore alla poltrona sino alla risoluzione del thriller politico. Poco convincente è la protagonista femminile mentre, al contrario, Rocco Papaleo e Augusto Zucchi si confermano interpreti credibilissimi, capaci di trasportare lo spettatore nei luoghi dell’anima e della psiche umana. Ironica la scelta stessa dell’attore protagonista: vera e propria imitazione della realtà, il comico suicida è interpretato da un istrione della commedia italiana. Uno che ha fatto della risata altrui il proprio mestiere, diventa per Zucchi uno psicotico dalla personalità travagliata. Dove una o due risate scappano comunque, sono certamente sorrisi amari, di quelli che servono per sdrammatizzare ed esorcizzare la paura della fine.