Un film su una figura cardine della musica come Jimi Hendrix porta con sé delle potenzialità importanti, accompagnate come sempre anche dalle rispettive responsabilità filmiche: non è un caso che, a oggi, i biobic "centrati" si contino sulle dita di una mano. John Ridley, già sceneggiatore di 12 anni schiavo, si cimenta nella sua seconda prova da regista (dopo l'imbarazzante Cold around the heart, del 1997) in un'impresa ardua, dal momento che gli eredi della rockstar hanno impedito di utilizzare i brani originali. A dare un grosso aiuto al cineasta, però, c'è la presenza nei panni del protagonista del cantante degli Outkast André Benjamin, che già da qualche anno bazzica con alterne fortune il piccolo e grande schermo. La bella Linda Keith, fidanzata di Keith Richards, scopre in un pub il talento di Jimi Hendrix e, infatuandosi di lui, lo convince a dare il meglio di sé per farsi notare dai produttori discografici. Grazie agli sforzi della ragazza, Hendrix ottiene un contratto e si reca a Londra, dove si afferma sulla scena insieme alla sua nuova band. Ma l'inizio del successo coincide anche col deteriorarsi della sua relazione con la compagna Kathy. Jimi: All is by my side è un film discontinuo, schiavo di una narrazione barcollante che si concentra sui primi anni della carriera di Hendrix, quelli che precedettero il successo globale che lo consacrò a leggenda della musica. Ridley, anche autore della sceneggiatura, ci offre uno spaccato abbastanza realistico degli anni '60, introducendo con scritte in sovrimpressione i numerosi protagonisti del periodo, ma si dimentica di costruire una narrazione credibile e appassionante nei confronti del suo personaggio principale. Ed è un vero peccato, perché la performance di Andrew Benjamin, impegnato in un tour de force camaleontico, è a tratti davvero ammirabile. Risulta, però, difficile empatizzare con questa figura sognatrice e ribelle: tutte le sottotrame si rivelano vacue e incomplete; persino il finale si chiude "all'improvviso", lasciando un sapore amaro in bocca. Jimi appare così un'anima dimezzata, la cui caratterizzazione lo riduce a un'involontaria parodia del reale, sempre combattuto tra l'amore per la compagna e l'indole da rock-star. Anche il contesto - con un francamente evitabile risvolto sul tema del razzismo - risulta addobbato e, in questo caso, quantomeno forzato. Il lato tecnico e la ricostruzione d'epoca si mantengono su un buon livello tecnico, ma la coerenza dell'operazione finisce per girare sin troppo a vuoto.