Durante un'esibizione al Lincoln Center di New York, a cui assiste anche il Presidente Obama, un “incidente” di scena con il costume di Fat Amy (Rebel Wilson) rischia di affossare le Bellas. La girl band, esclusa dalla competizione di canto, entra in crisi: Beca (Anna Kendrick) è sempre più impegnata con il lavoro e le ragazze sono scoraggiate. Finché, ecco un'idea: un prestigioso contest canoro a Copenaghen, l'ultima occasione per vincere e dimostrare il proprio talento. Va detto: già Voices, primo film della serie Pitch Perfect, di cui Elisabeth Banks è produttrice, non sembrava esattamente un capolavoro. Eppure il successo di pubblico era stato eccezionale: centoquindici milioni di dollari di incasso, per un budget di appena diciassette. Tre anni dopo, Pitch Perfect 2 si lascia alle spalle la regia di Jason Moore e passa nelle mani della stessa Banks, al suo esordio dietro la macchina da presa. La bionda attrice dirige un film vivace, che si colloca sul genere del contest musical, sulla scia degli ultimi Step Up e di High School Musical. Il ritmo è quello giusto, le attrici fanno il loro dovere: non solo la leader Anna Kendrick (definitivamente eletta teen idol dopo Twilight) ma anche l'esplosiva Rebel Wilson e la new entry Hailee Steinfeld. Piuttosto riuscita è anche la scelta - rispetto al primo film - di privilegiare, al tema sentimentale, i rapporti di amore e odio fra le protagoniste femminili: una sorta di Mean Girls, solo meno cattivo e più esplicito. In una parola, elementare. Senza voler infierire sulla sceneggiatura di Kay Cannon (autrice anche del primo film), l'intreccio di Pitch Perfect 2 è deliberamente demenziale: non solo l'esito della vicenda è scontato sin dai primi minuti, ma anche le singole gag risultano grottesche (a partire da quella che dà l'avvio alla vicenda, lo scandaloso strappo sul costume di Fat Amy) e persino volgari. Se questo genere di humor può talvolta fare ridere un certo tipo di pubblico, andava sicuramente riposta più cura nei personaggi: i comprimari, soprattutto i rivali tedeschi della sfida di Copenaghen, risultano macchiette insopportabili; le protagoniste (spiace per il cast di buone attrici) sono detestabili, qualche volta isteriche e altre semplicemente scialbe. Invece di coltivare l'umorismo triviale, sarebbe stato meglio infondere più ironia a questo team di disperate: anche quella grintosa "rivincita delle uncool" che dava l'intreccio a Voices, finisce qui per perdersi per strada. Giusto Elizabeth Banks riesce a ritagliare per se stessa un personaggio narratore dall'ironia più raffinata, esilarante soprattutto nei duetti con John Michael Higgins. Una volta tanto che in Italia, tre anni fa, un film inspiegabilmente campione di incassi negli USA era stato ignorato, la distribuzione nostrana ci ripensa e sceglie di puntare tardivamente sul sequel. Una decisione che si fatica a giustificare.