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Vulcano - Ixcanul

04/06/2015 10:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Vulcano - Ixcanul

Maria (Maria Mercedes Coroy) ha diciassette anni e appartiene a un'antica comunità maya del Guatemala...

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Maria (Maria Mercedes Coroy) ha diciassette anni e appartiene a un'antica comunità maya del Guatemala. Vive e lavora con i suoi genitori in una piantagione di caffè, alle pendici di un vulcano attivo. Maria sogna di trasferirsi in città, ma i suoi desideri sembrano infrangersi quando la famiglia la concede in sposa a Ignacio (Justo Lorenzo), uno dei capi della piantagione. L'incontro con Pepe (Marvin Coroy), raccoglitore di caffè giovane e sognatore, le restituirà l'amore e la speranza di andare lontano. Ma il Vulcano ha in serbo per lei altri piani.


"Sai cosa c'è dietro il Vulcano? Ci sono gli Stati Uniti". Abiti di un'altra epoca; paesaggi lunari; serpenti che sbucano dalle viscere della Terra, seminascosti da sbuffi di fumo infernale. Potrebbe essere un altro mondo, un pianeta diverso o un tempo antico, invece è il Guatemala. E come Pepe indica a Maria, da lì a un soffio, oltre le pareti infuocate di Ixcanul, iniziano gli Stati Uniti. Jayro Bustamante esordisce alla regia con Vulcano, presentato a Berlino, prima candidatura all'Orso d'Oro per un film guatemalteco. A soffermarsi sulla raffigurazione dello stile di vita duro e genuino, sul racconto dettagliato dei riti religiosi e di costume, Vulcano sembra stare a metà fra un film di folklore e un documentario. Ma Bustamante fa del centro della sua narrazione non tanto questo scenario suggestivo ma il dramma di un'adolescente ribelle e curiosa, che vuole innamorarsi e vedere il mondo. Così Maria, incastrata nella tradizione di un matrimonio infelice, finisce fra le braccia di Pepe, che la lascerà più sola che mai. Facile preda di un destino avverso.


Vulcano prende forma dai laboratori di espressione artistica condotti da Bustamante nelle comunità maya: qui il regista ha ascoltato storie e organizzato narrazioni collettive da cui ha tratto il ritratto di un mondo destinato a perdersi, che resiste con le unghie e con i denti anche a costo di fare sanguinare i suoi figli più fragili. Il tema del "paradiso perduto", che sta per scomparire, è affascinante: gli Stati Uniti spingono sul vicino confine per entrare e anche le comunità più antiche saranno presto spazzate via da grattacieli e automobili. Se Jayro Bustamante fosse riuscito a intrecciare meglio questo scenario apocalittico al tema della catastrofe naturale e a quella intima che investe Maria, Vulcano avrebbe potuto essere un film da ricordare. La correlazione fra i fuochi di Ixcanul, l'invasione di serpenti e la sfortunata vicenda di Maria è un accostamento particolarmente riuscito. Tuttavia, nel dramma della protagonista - traditrice, sedotta e abbandonata - si legge ancora troppa indecisione fra finzione e docufilm: una narrazione pomposa che perde genuinità. Nonostante l'intenzione autentica e lo studio delle popolazioni maya, il regista non si affranca del tutto dal genere etnografico e dai cliché del buon selvaggio. Quella di Bustamante è una pellicola spiazzante nel suo realismo, eppure dotata di un intreccio quasi letterario: Maria si annoia e si lascia sedurre dalle tentazioni di una vita negata, da un uomo che svanisce come una nuvola. È una Bovary sui generis, una Karenina - più giovane e più olivastra - che finisce per perdere ogni cosa. Dal secondo tempo in poi sembra prendere corpo una trama melò, inaspettata e straniante, che rallenta (ancora di più) il ritmo e perde l'attenzione delle spettatore fino a mettere in secondo piano la regia curata, le scelte scenografiche e la splendida fotografia.


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