Era il 2010 quando nei cinema arriva Insidious, film di James Wan che ha avuto il merito di riportare in auge il filone horror legato alla possessione demoniaca. Una pellicola spaventosa, costruita con sapienza, che giocava sul labile equilibrio tra visibile e non visibile. Qualche anno dopo, il sequel è riuscito a spingersi fin dove il primo capitolo si era fermato: qualità infinitamente superiore e consequenzialità con le vicende narrate nel primo film tinte di nuove, inquietanti, venature. A distanza di un paio di anni, con James Wan nel ruolo di semplice produttore, arriva nelle sale Insidious 3 – L'inizio: dietro la macchina da presa c'è Leigh Whannell, che non solo aveva già collaborato alla sceneggiatura ma che appare in video nelle vesti di uno degli “acchiappafantasmi”. Qualche anno prima delle vicende della famiglia Lambart – raccontate nei primi due capitoli – la medium Elise (Lin Shaye) ha delle difficoltà a gestire il suo dono. Sembra infatti rinnegare le proprie capacità di sensitiva e vive reclusa nella sua villa. Questo finché alla sua porta non bussa Quinn (Stephanie Scott), una liceale col sogno della recitazione, che cerca un modo per entrare in contatto con la madre, morta circa un anno prima. Commossa dal suo dolore, Elise accetta di fare un tentativo ma la seduta spiritica richiama indietro un'entità malvagia che si vuol nutrire dell'anima della ragazzina. Per Quinn, costretta all'immobilità, comincia così un incubo a occhi aperti, che metterà a dura prova la sua fede e quella di suo padre. Insidious 3 – L'inizio potrebbe essere descritto come un vero e proprio spin-off della saga originale: non viene raccontato l'origine di un male adamatico che perseguita l'uomo, cibandosi delle sue paure, ma lo spettatore viene piuttosto messo a conoscenza di un periodo della vita di Elise, una parentesi sconosciuta che serve a mettere insieme i tasselli mancanti di un personaggio affascinante sin dalla sua prima apparizione. Nonostante sia Quinn quella perennemente in scena, è indubbio che la vera protagonista resti l'indecisione di Elise, il suo timore, la sua stanchezza davanti a una guerra che sembra infinita. A dominare la pellicola è la paura: un terrore che si sfoga al meglio delle sue possibilità quando viene solo suggerito, lanciato come un amo al quale lo spettatore abbocca, portando dietro tutto il suo bagaglio immaginifico. Tra suoni sinistri, sussurri spaventosi e crepe sul soffitto, l'arte del "non mostrare" risulta sempre essere la più adatta in queste operazioni. Non mancano, tuttavia, i proverbiali salti sulla poltrona. Specie quando la musica si alza di tono, per avvisare il pubblico che la notte è giunta e che nessuno è al sicuro.