Boston, 1978. Cameron (Mark Ruffalo) è un padre e un marito amorevole ma soffre di una grave sindrome bipolare che lo fa essere imprevedibilmente apatico o violento, divertente o protettivo. Per il bene delle figlie, sua moglie Maggie (Zoe Saldana) lo allontana. Quando, però, decide di iscriversi all'università, lontana da casa, non può che lasciare le bambine al marito. Riuscirà Cameron, per il bene delle sue figlie, a essere "normale"? Chi non ha mai voluto, in qualche momento della vita, cambiare il proprio padre con un altro. Avere a che fare con un genitore più permissivo o più presente - a seconda dei desideri - e magari intercambiarli fra loro. Cameron è due in uno: un papà svampito, irresponsabile e divertente, che si alterna a un soggetto ansioso e oppressivo. Sarà possibile trovare un equilibrio, per amore delle sue bambine? Maya Forbes, già sceneggiatrice di Diario di una schiappa e Mostri contro Alieni, per il suo esordio alla regia porta in scena l'unica storia che le stia davvero a cuore: la propria infanzia, vissuta con la sorella, insieme a un padre bipolare. Teneramente folle è una commedia dolcissima, che si muove sul filo della follia. Istrione di questo omaggio di una figlia a un padre “speciale” è Mark Ruffalo: dopo Foxcatcher l'attore sembra essersi definitivamente divincolato dall'etichetta del romance e si muove agilmente fra comico e drammatico, in un ruolo più sfaccettato di quanto la trama possa lasciare immaginare. La regista e sceneggiatrice concede al personaggio di Cameron una dignità non solo narrativa ma anche umana: è un genitore disturbato, ma agli occhi di due bambine appare decisamente eccezionale. E la paternità è un ruolo che occorre meritare ma anche una necessità vitale, che contribuisce a restare sani. Nonostante si tratti di un film leggero, Teneramente folle è forse una delle più toccanti e variopinte interpretazioni di Mark Ruffalo. In parallelo a questo ritratto paterno, Maya Forbes conduce un discorso di fondo sugli Stati Uniti dell'oscillazione sociale (la vicenda di Maggie ricorda La ricerca della felicità di Gabriele Muccino anche se, nella sua essenzialità, è scritta meglio) e intorno al tema della patologia di Cameron, affrontata con - forse troppa - delicatezza (il titolo originale, Infinitely Polar Bear, fa riferimento al fraintendimento della piccola Faith della "polarità" del padre). La regista impiega tutta la sua esperienza nella scrittura dei personaggi, per renderne la complessità e il difficile rapporto con la malattia mentale: non solo Cam e Maggie, ma anche le bambine entrano da subito in incredibile empatia con lo spettatore, inserito in una storia familiare sui generis ma assolutamente comune. I desideri, infatti, sono quelli di ogni famiglia: serenità affettiva, sicurezza economica, protezione. C'è una diffusa concessione al romanticismo e alla malinconia, data anche dai numerosi inserti in Super 8, dalla fotografia seppiata e da una colonna sonora che scava negli anni Settanta. Anche l'ambientazione è curata nel dettaglio: sullo sfondo della vicenda c'è la Boston 70's in cui la tolleranza è accettata solo nei confronti dei non troppo diversi. Cameron rompe le righe, perchè è folle, ma forse le avrebbe spezzate lo stesso.