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The Lobster

16/06/2015 11:00

Riccardo Tanco

Recensione Film,

The Lobster

In un futuro distopico, David (Colin Farrell) viene abbandonato dalla moglie e trasferito in uno speciale hotel, dove entro quarantacinque giorni dovrà trovare

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In un futuro distopico, David (Colin Farrell) viene abbandonato dalla moglie e trasferito in uno speciale hotel, dove entro quarantacinque giorni dovrà trovare una nuova compagna o sarà trasformato in un animale. Dopo il successo internazionale di Dogtooth, premiato nel 2009 a Cannes nella sezione Un Certain Regard, e di Alps, vincitore del premio alla sceneggiatura a Venezia nel 2011, il regista greco Yorgos Lanthimos si riconferma animale da Festival: tornato a Cannes 68 in concorso, si è aggiudicato il Premio della Giuria con The Lobster, suo quarto lungometraggio e primo in lingua inglese con un cast internazionale.


Il cinema di Lanthimos è capace di affascinare e spiazzare (almeno le giurie dei Festival), portando avanti un'idea di mondo distorta e grottesca sia nella narrazione sia nello stile, che segue il mood della nuova onda greca cinematografica. Tra essenzialità di movimento, camera fissa e occhio e tono glaciale, con The Lobster, Lanthimos porta avanti un discorso sulle storture del contemporaneo attraverso il sempre abbondante uso del potere metaforico: in Dogtooth era il linguaggio a essere alieno, non trovando mai accordo tra significato e significante; in Alps il corpo e l'identità stessa venivano compromessi, falsificati perché simulati. In The Lobster si affronta il tema dei rapporti umani e di coppia, in una sorta di versione abbruttita del nostro presente o del prossimo futuro. Non c'è spazio per i single e chi è stato lasciato deve alloggiare in un hotel, dove in quarantacinque giorni troverà una compagna compatibile. Se la missione non riesce, il soggetto verrà trasformato in un animale a sua scelta. Ovviamente la trama da fantascienza grottesca è quasi un pretesto per ragionare sul senso dei rapporti. Così The Lobster si muove sulla tematica del bisogno dell'altro, sulla finzione del sentimento e sul duello tra convenienza e amore. Ma nonostante la suggestione che la storia poteva dare, Lanthimos continua a dimostrarsi un regista con un'assenza di sguardo su ciò che racconta, un autore che vorrebbe dire tutto ma finisce con il lasciare poco. Tra sci-fi e commedia nera, The Lobster non sa mai dove guardare e diventa vittima della costruzione mistificatoria del proprio regista, tra eccessi di cinismo e un occhio chirurgico che - ovviamente -scimmiotta Haneke con un certo malsano gusto per la pornografia dell'immagine. Una freddezza che non serve per inquietare ma che è simbolo del cinema fasullo di Lanthimos, regista celebrato oltre merito. Quest'etica di cinema e quindi di mondo, che punta sempre alla scena teoricamente più pruriginosa, rimane vacua nell'economia dell'opera. Alla fine The Lobster, film chiuso in se stesso e privo di problematiche, non riesce a dire nulla pur urlando in maniera spropositata, a partire da un tappeto sonoro di rara pomposità.


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