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Peace to Us in Our Dreams

17/06/2015 11:00

Riccardo Tanco

Recensione Film,

Peace to Us in Our Dreams

Un uomo (Sharunas Bartas) si trasferisce nella propria casa di campagna insieme alla nuova compagna (Lora Kmeliaauskaite) e alla figlia (Ina Marjia Bartaite)...

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Un uomo (Sharunas Bartas) si trasferisce nella propria casa di campagna insieme alla nuova compagna (Lora Kmeliaauskaite) e alla figlia (Ina Marjia Bartaite). In mezzo alla quiete della natura, i tre si trovano ad affrontare i loro problemi: il padre non riesce a costruire un rapporto sereno con la fidanzata, mentre lei, violinista, fatica a congiungere la musica con la vita di coppia. Infine la figlia soffre ancora per la scomparsa della madre.


Presentato al 68° Festival di Cannes nella sezione Quinzaine des Realisateurs, Peace to Us in Our Dreams è l'ottavo film del regista lituano Sharunas Bartas, che continua con un cinema dal potere evocativo e dalla narrazione scarna. Un racconto di formazione, un film in levare sulla riscoperta di se stessi e della propria interiorità. Immerso in una messa in scena essenziale, che muove poco la macchina da presa, Bartas si affida all'atmosfera di una natura presente e affascinante ma indifferente al destino dei personaggi: i tre protagonisti soffrono ognuno per conto loro, senza quasi mai incontrarsi, prede di una personale crisi esistenziale. Se la giovane figlia, ancora turbata per la scomparsa della madre e nell'incapacità dell'elaborazione del lutto, guarda come miglior speranza al futuro all'amicizia con un coetaneo, gli adulti di Bartas affogano ben presto. Il padre (interpretato dallo stesso regista), soppresso da noia e da un dolore muto, è una figura consapevole della propria inadeguatezza e si riserva il ruolo di saggio consigliere per le due donne che lo accompagnano.


Peace to Us in Our Dreams è un dramma dell'animo che cerca nel tono e nei contenuti la soluzione più difficile. Forse è questo il suo problema più ampio, oltre a una riconosciuta complessità nei personaggi e nelle tematiche: Bartas si perde in un film pensoso oltremodo, che rischia di parlarsi addosso con dissertazioni filosofiche sull'uomo, poco accompagnate da uno sguardo vero e sincero. Un film che non si abbandona mai alla leggerezza di tocco o al non detto, esplicito in tutto ciò che afferma, una sorta di saggio filmato che tenta ambiziosamente di raccontare i veleni dell'anima con troppe domande e altrettante risposte che rischiano di allontanare. Con un finale che prova la strada della semplicità dopo un percorso filmico che ha fatto poco per costruirsela.


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