Kawai, Horei e Hirayama, tre amici di mezz'età, organizzano una festa in onore di un loro vecchio insegnante, che vive da solo con la figlia. Quest'ultima, per prendersi cura dell'anziano genitore, non si è mai sposata. Hirayama - pur con qualche anno in meno sul groppone - si ritrova nella stessa identica situazione dell'ex-professore e comincia a preoccuparsi per il futuro della figlia Michiko, ormai ventiquattrenne, affrontando il timore della solitudine dopo che la ragazza si sarà maritata. Il tema del matrimonio filiare ritorna ancora una volta - e non poteva essere altrimenti - nell'ultimo film del maestro giapponese Yasujiro Ozu. Al centro, nuovamente il rapporto familiare in un Giappone in costante mutamento, nel quale le donne cominciano ad avere sempre più peso nelle scelte sociali e personali del Paese. Un'opera nostalgica che, giocando col dolce e con l'amaro, ripercorre tutti i leit motiv (anche attraverso i suoi interpreti feticcio) della gloriosa carriera del regista, qui declinandoli in un'atmosfera al contempo giocosa e malinconica. Sempre segnata da un velo di speranza. Le discussioni al tavolo del bar, tra un bicchiere di birra e uno di saké; l'amico storico, fidanzato con una donna molto più giovane; le canzoni alla radio che riportano alla mente le imprese e la disfatta della Seconda Guerra Mondiale: Ozu cattura ancora, col suo stile scarno e apparentemente lento ma in realtà ricco di significati morali, tutte le anime di una Nazione. Una sorta di narrazione specchio, nel quale le situazioni si assomigliano e si ripetono in una sorta di ciclico cerchio della vita che conduce all'inevitabile distacco tra genitori e figli. Un racconto delle piccole cose, dai placidi bisticci tra moglie e marito (il primogenito di Hirayama è figura centrale del racconto) alle pretese degli eredi sempre più pressanti, seppur garbate, nei confronti di chi gli ha dato la vita. Ma in questo squarcio di tenera naturalezza si aprono anche istinti più dolorosi, come nella toccante vicenda del vecchio professore alcolizzato e della di lui figlia costretta a un'esistenza d'infelicità per badare al padre, situazione poi scatenante dell'intera vicenda della pellicola. Ne Il gusto del saké Ozu fa apprezzare ancora una volta la serenità di un'esistenza normale, senza il bisogno di cercare vie ricattatorie ma commuovendo proprio grazie alla sua totale attinenza con la vita reale.