Tratto dal bestseller Trilogia della città di K di Agota Kristòf, Il grande quaderno è un film del regista ungherese Jànos Szasz, al suo quinto lungometraggio dopo Szèdules (1990), Woyzeck e The witman boys (candidati ungheresi all’Oscar per Miglior Film Straniero rispettivamente nel 1995 e nel 1998). L'ultima fatica di Szasz è stata nominata all’Oscar nel 2014 per l’Ungheria, vincendo lo stesso anno il Crystal Globe alla 48esima edizione del Festival di Karlovy Vary. Viene portata sul grande schermo la violenza della Seconda Guerra Mondiale semplicemente attraverso il racconto allegorico di due fratelli gemelli, le cui vite saranno inevitabilmente sconvolte dagli orrori a cui assistono. Durante gli ultimi anni della guerra, le grandi città d'Europa sono colpite da bombardamenti e povertà. Una madre disperata (Gyongyver Bognar Anya) decide così di portare i figli, fratelli gemelli, a casa della nonna (Piroska Molnàr Nagyanya) in campagna. I ragazzi (Làszlò Gyèmànt Egyik Iker e Andràs Gyèmànt Thomas Iker) - due personalità fortemente dipendenti l’una dall’altra - trovano molto dura la vita di campagna, soprattutto a causa delle violenze a cui li sottopone la nonna materna, conosciuta in tutto il villaggio come “la strega”. Si racconta anche che abbia avvelenato il marito, il nonno dei giovani ragazzi. La guerra è disumana e l’unico modo che i due trovano per sopravvivere è diventare il più possibile spietati e insensibili ai dolori che questa porta con sé. Incominciano così una preparazione fisica e psicologica, basata su sevizie e torture ad animali, lesioni auto inflitte, digiuni e altre privazioni; assistono a stupri e commettono omicidi, diventando loro stessi simbolo di quella violenza, dalla quale volevano proteggersi. La fine della guerra e la liberazione, con la conseguente invasione dei russi nel villaggio e la fuga dei nazisti, ne costituirà l’apice. Il grande quaderno è un war movie le cui atrocità non vengono descritte dalle scene belliche ma attraverso le conseguenze brutali che questa ha sull’animo di due giovani ragazzi. Una sola persona, separata in due corpi: nulla spaventa i fratelli più dell’allontanarsi l’uno dall’altro, poiché - citando la giovane madre - essi si appartengono. Commettono assieme svariati omicidi, sorreggendosi quando uno dei due vacilla e sostenendosi nei momenti di difficoltà. La loro relazione è certamente la parte più interessante del film, terribilmente introspettivo. Le violenze che i due commettono e a cui assistono sono dettagliatamente riportate sullo schermo senza alcun tipo di censura, suscitando nello spettatore sdegno e rabbia. Nulla viene lasciato all’immaginazione: le scene di nudo, gli stupri e gli omicidi si susseguono per 113 minuti, così che la violenza diventa la reale protagonista della storia. La scenografia è meravigliosa e fa da contrasto al brutale intreccio narrativo, mettendolo in risalto. La narrazione fuoricampo avviene con la voce dei gemelli assassini, che parlano in prima persona e sempre assieme, in un monologo interiore più spaventoso della guerra stessa. Incredibile è l’interpretazione dei giovani attori protagonisti, capaci con un solo sguardo di spaventare lo spettatore e - al tempo stesso - di intenerire di fronte al loro essere innocenti vittime di una violenza inaudita. Questo è il senso de Il grande quaderno: la circolarità della violenza, che trasforma le vittime in carnefici e i bambini in assassini. E nonostante la cruda visione, questo film dalle tinte forti testimonia - in maniera realistica - le conseguenze di un conflitto.